Ovvero tutto il buono che abbiamo potuto prendere dagli ultimi 365 giorni.

Ho iniziato il mio 2020 ordinando la pizza a casa. Forse era un segno.

Nel 2020 il food delivery è aumentato esponenzialmente, così come le nostre abitudini hanno subito cambiamenti radicali.

Abbiamo imparato a lavorare da casa, ad essere al passo coi tempi, cercando di essere sempre più moderni. Abbiamo ordinato di tutto online, cibo compreso. Dalla singola cena, alla spesa intera.

Un anno di crisi che si è rivelato oro colato per Amazon su tutti, a seguire le piattaforme di delivery, in Italia è stata Deliveroo a mantenere il primato.

Un anno in cui abbiamo stabilito nuovi record di download: app sportive, e il boom di quelle per la meditazione. Negli USA grandi aziende hanno offerto un anno di abbonamento ad Headspace, ad esempio.

Abbiamo lottato per la carta igienica e il lievito, abbiamo panificato, sfidato noi stessi in cucina, in molti hanno sfidato il proprio fegato. I meme sull’inizio dell’happy hour a qualsiasi ora del giorno sono incalcolabili. 

Non solo ironia, ma anche strategia di sopravvivenza per le realtà dell’hospitality, prima chiuse, poi aperte, poi richiuse con nuove direttive e ancora bandite di nuovo. 

Abbiamo visto locali interi trasferirsi all’aperto creando spazi chiusi esterni, abbiamo trovato menu di pranzoni di capodanno anziché cenoni per via del coprifuoco. Abbiamo ammirato l’ingegno, lo spirito di adattamento delle piccole realtà che hanno lottato per continuare a lavorare dignitosamente.

Abbiamo osservato le vite di coppia degli altri, che hanno concepito i loro primi figli, che si sono promessi in matrimonio, che si sono sposati su zoom, laureati su zoom, confidati col terapista su zoom. 

Non abbiamo mai visto tanti anelli di fidanzamento tutti insieme, tante coppie tutte insieme. Persone capitate in lockdown nella stessa casa oggi hanno la loro nuova relazione amorosa nata dalla quarantena.

È stato come vivere un Decamerone moderno, il virus fuori e noi insieme agli altri, isolati nelle nostre abitazioni. A raccontarci storie, a vivere una realtà parallela.

Quante relazioni e quanti litigi sono nati da questi momenti boccacciani? Quante idee, nuovi progetti o rese?

Un anno in cui sono state liberalizzate le droghe in numerosi Paesi, su tutti Arizona e Oregon, seguiti da Ghana, Canada, Nuova Zelanda. Un caso sia avvenuto proprio in questo anno?

Il 2020 è stato l’anno in cui hanno vinto i diritti civili, Svizzera e Costa Rica hanno approvato i matrimoni tra persone dello stesso sesso, la Nuova Zelanda l’eutanasia, Germania ed Albania hanno abolito le “terapie di conversione”, l’Italia ha approvato la legge contro l’omotransfobia.

Un anno in cui le minoranze hanno preso voce, per la prima volta in USA sono stati eletti due deputati gay, in Belgio una ministra transgender, in Nuova Zelanda la prima ministra maori e il numero di parlamentari donne del mondo è aumentato del 25%. 

Kamala Harris è la prima donna vicepresidente e di colore degli Stati Uniti, nell’anno in cui le proteste #blacklivesmatter hanno aperto il vaso di Pandora sulla xenofobia in America. 

Un anno importante, non 12 mesi da buttare ma da ricordare bene.

Lo abbiamo iniziato come al solito, come quando si iniziano le cose nuove con la pretesa di essere migliori, di buttarsi dietro tutto quello che è andato storto. Invece per la prima volta abbiamo potuto imparare che non funziona così.

E` stato un percorso graduale. Prima la paura per quel che non si conosce, ciò che non vediamo e che non possiamo controllare. Lo sgomento nell’essere obbligati a stare a casa.

Già qui è emersa la nostra personalità: c’è chi spesso fingeva di essere un animale sociale che ha ammesso di trovarsi bene solo, chi è scoppiato in lacrime per la solitudine.

Piano piano abbiamo imparato a lavorare da soli, prima con disappunto, poi con entusiasmo, felici del nostro nuovo percorso casa-lavoro letto-scrivania. Torneremo mai indietro? Ci siamo chiesti. 

Personalmente, pensavo di aver trovato un nuovo equilibrio. Corsa mattutina, esercizi giornalieri. Lavoro, paradossalmente più intenso di prima: sono diventata disponibile h24 nella mia isola-scrivania, evitando il mio percorso di 35 minuti spaccati verso l’ufficio.

Nessun pranzo al sacco, nessuna confusione della città. Pasti sani, abitudini sane, molte fughe nel verde, molte soddisfazioni lavorative.

Eppure dopo qualche mese sono stata pervasa da un senso di tristezza e di fragilità, mi sono sentita insoddisfatta, incapace. Ho realizzato ciò che questa vita isolata mi stesse facendo. Mi è bastato pensarci: non c’è nulla di cui essere insoddisfatti, di cui sentirsi ingrati o incapaci. 

Sono grata alla mia vita, al fatto che abbia potuto continuare a lavorare e ad avere una quotidianità dignitosa in un periodo di crisi.

Allora cos’era quella sensazione? Dopo mesi ad osservare i miei amici impazzire in Italia, ho capito cosa fosse, era arrivato anche per me il momento del confronto con me stessa durante il mio 2020.

Un anno in cui ho limitato le mie relazioni, in cui non ho visto i miei cari e i miei amici più stretti. Un anno di successo lavorativo, personale, di grande attività, di sogni realizzati, di sentimenti esternati.

Eppure non bastava. Dovevo confrontarmi in solitudine in tutto questo caos, anzi in tutta questa calma. 

Io l’ho realizzato una mattina sul roof del mio palazzo, dopo aver fatto i miei esercizi. Ho guardato il cielo e mi sono sentita un puntino solo nell’universo. Ho sentito la solitudine intera di questa nostra epoca concentrata in un unico momento di sgomento.

Tutti abbiamo dovuto parlare con noi stessi, chiusi nelle nostre case, nei nostri pensieri, nelle nostre paranoie. 

A combattere la fame nervosa, qualche vizio, qualche ossessione. Lo abbiamo mascherato con tutte quelle attività per la cura di noi stessi, invece il 2020 verso la sua fine ci ha dato la sua ultima lezione.

Se oggi non abbiamo concluso niente, va bene. Non esistono giornate da buttare, non tutto quel che dobbiamo fare deve essere per forza produttivo.

Il 2020 ci ha insegnato a rimanere in pigiama, a non essere perfetti, a dedicarci il giusto tempo, ad essere indulgenti. Ad apprezzare le piccole cose, ad amare il mondo e a desiderare di scoprirlo.

Il 2020 ci ha insegnato a guardarci nello specchio, a non voler buttare dietro le spalle nulla, il prossimo anno. Perché abbiamo imparato a convivere con noi stessi e perché sappiamo di non essere perfetti.

Il 2020 ci lascia così, col desiderio di conoscerci un po’ di più, di capirci e perdonarci, di guardare negli occhi le nostre fragilità e di custodirle.

Un anno che ripetiamo quanto ci sia stato tolto, e solo ora, alla fine, capiamo quanto ci sia rimasto.