Ho iniziato questo articolo circa un milione di volte. Solitamente scrivere è una delle poche cose che mi riesce senza riflettere troppo, senza passare per quegli stati di ansia ingiustificata che mi portano a rivedere la mia intera esistenza. Probabilmente è perché scrivo sempre di me, non per egocentrismo ma per semplice e puntuale conoscenza dei fatti. Stavolta però avrei voluto davvero raccontarvi un episodio della mia vita che, mio malgrado, mi è esploso tra le mani.

Mi spiego meglio, riparto dall’inizio.

Ho ventisette anni ed ho perso il mio posto di lavoro perché sono una donna. Questo personalissimo racconto però mi ha portato a chiedermi quante donne abbiano dovuto affrontare questa mia stessa situazione. Ad essere sinceri non avrei voluto fare un articolo sulla parità dei sessi, sulla discriminazione di genere o su uno spinto femminismo; non per mancanza di coraggio, sia chiaro, semplicemente perché mi fa sentire come se camminassi su un filo e, diciamocelo, non sono affatto brava in questo. Porto il quaranta, cadrei al primo passo.

Quindi direi che potremmo vederla come una chiacchierata al bar, senza troppe pretese. Sono qui, seduta davanti ad un tè, che vi racconto come nel 2020 essere donna non sia ancora gratificante come vorrei.

Ho lavorato un anno in pasticceria. Pensavo l’ostacolo più grande sarebbe stato il mio background, voglio dire: liceo classico, laurea in lettere, non era il curriculum più adatto alla situazione. Passo il colloquio a stringere mani e rassicurare tutti che ce l’avrei fatta, nonostante le mie braccia del tutto inabili a sollevare pesi che superino i tre chili totali. Il giorno dopo ero dentro, contro ogni aspettativa.

Non mi ha turbato più di tanto che molti pensassero avessi ottenuto il posto solo per aver sbattuto le ciglia più degli altri. D’altronde le madri ci preparano da sempre a gestire questi inutili sospetti. Sappiamo tirare dritto dopo un fischio, non stupirci se un uomo crede ancora che guidare competa sempre a lui, non lanciare un libro a chi ci dice che con una gonna corta potremmo anche prendere trenta; insomma cose da niente se sei una donna. Ingenuamente però non ero preparata a questo. Siamo adulti, il lavoro è un’altra cosa, il profitto non ha sesso, se lavori bene, puoi avere i tacchi o la barba ma, lavori bene.

Bevete un sorso adesso.

Non è così.Se sei donna devi dimostrare di essere brava quanto un uomo, stringere i denti una settimana al mese, convincere, stupire, essere paziente e rassicurare ma senza comandare, senza attirare attenzione. Devi essere un uomo ma ricordarti che sei sempre una donna. Voglio dire, se hai una “giornata no” hai il ciclo, unica possibile e plausibile spiegazione, sei donna!

In quel laboratorio ero l’unica donna, quindi tutti quegli stupidi riflettori maschi erano puntati su di me: quando cadrai? Quando avrai bisogno di aiuto? Che poi alla fine mi sono pure ambientata, sorridi e passi avanti. Una frase però una sera ha distrutto questo equilibrio già precario: «sei sicura di farcela? Voi donne volete sempre fare tutto». Tipo lavorare, vivere e respirare? Che pretese ragazze, neanche fossimo uomini.

E alla fine? Mi hanno licenziato. Dopo un anno di lavoro, un anno di promesse, di complimenti e aspettative. Dopo essere passata attraverso tutte le fasi del dolore sono arrivata all’accettazione; anche perché era inevitabile, non avrei potuto continuare ad andare a lavorare dicendo: «sono ancora in fase di negazione, tra una settimana libero l’armadietto».

La motivazione? È presto detto, tanto siete ancora seduti, no? I capi erano tre, due uomini e una donna. A decidere di licenziarmi era stata lei. I due uomini mi dissero testuali parole: «Eleonora, lo sai come sono fatte le donne, sono competitive ed invidiose, non possiamo farci niente». E’ questo che pensano di noi?

Avevo lottato per un anno contro una convinzione e mi ero cullata in un’altra convinzione, probabilmente sbagliata. Sarebbe stato più facile puntare il dito contro un maschilismo che conosciamo fin troppo bene, pensare di essere un fronte comune che lotta contro un qualcosa di radicato da secoli nelle nostre teste. E se il fronte comune si sgretola? La verità forse è che siamo solo persone che cercano di correre più veloce di altre persone. Una conclusione in realtà non ce l’ho, era solo una chiacchierata con voi.

Io il tè l’ho finito e al Girl Power ancora ci credo, dovremmo solo sostenerci di più, siamo donne, infondo abbiamo tutte il ciclo.