Wanderama Studio, secondo le parole di uno dei fondatori, “unisce wander, dall’inglese vagare, e orama, un suffisso che vuol dire punto di vista, visione”: perfetta sintesi della natura di questo progetto visuale fresco, divertente e sofisticato allo stesso tempo.

Riprese impeccabili di paesaggi mozzafiato, “botta e risposta” spontanei e divertenti (che solo i romani sanno fare, con buona pace di noi polentoni nordici) si uniscono, nei progetti della casa di produzione video Wanderama Studio a un tono di voce versatile e famigliare. Insomma, gli si vuol bene, a questi ragazzi.  E non solo perché hanno un bel faccino, ma perché ti fanno sentire parte di un gruppo. Del loro gruppo.

La community che si è creata attorno a Wanderama, ad oggi, conta più di 19.000 followers su Facebook e riveste un ruolo importante per lo Studio. Il confronto con il pubblico è infatti stimolo per riflettere sul proprio lavoro, per migliorarsi, correggersi, dare vita a degli scambi.

Ho deciso di intervistare Matteo, Tommaso (anche detto Tommasino, o la Tigre), Eugenio (Gegge) e Massimo proprio perché io, di quella community, faccio parte. Fin dall’uscita della loro prima docuserie di viaggio mi sono appassionata alle loro avventure disagiate in terra asiatica raccontate in modo spontaneo, ma soprattutto sincero. Quest’attitudine all’onestà si riscontra anche nelle risposte alle domande che ho posto loro, pure quando riflettono su cosa significhi, oggi, portare avanti un progetto originale in totale autonomia, in un mondo dove contano solo i numeri.

Ciao ragazzi, sciogliamo il ghiaccio con una domanda di rito, un po’ standard e banale: cos’è Wanderama Studio, a chi si rivolge e da chi è composto?

Ciao Gaia, Wanderama Studio è la nostra casa di produzione video. Sono anni che ci conosciamo e che lavoriamo nel mondo dell’audiovisivo ma solo dal 2018 abbiamo fondato la nostra società.

Wanderama Studio è composta da Tommaso che è l’amministratore e il direttore della fotografia, Matteo che è il regista e il direttore creativo, Eugenio come filmmaker e produzione, Massimo autore e fotografo, Federico filmmaker e fotografo e Luca come autore e assistente.

WS si rivolge a chiunque abbia bisogno di comunicare il proprio business o le proprie idee attraverso immagini ferme o in movimento.

Lavoriamo con agenzie, produzioni cinematografiche e televisive, ma anche privati, brand, piccole aziende.

Voi siete un team molto giovane e di amici. Cosa vi ha spinto ad aprire un vostro studio e quali sono le difficoltà, se ci sono, di lavorare all’interno di un gruppo di amici?

Ad un certo punto delle nostre carriere individuali come freelance ci siamo trovati di fronte ad un bivio: rimanere quello che eravamo individualmente o unirci e ambire a progetti più complessi. Ovviamente ha prevalso la seconda, dal 2018 esiste Wanderama Studio e stiamo crescendo e ampliando anche la nostra crew.

Lavorando tra amici a volte diventa complicato scindere gli aspetti della vita privata da quella professionale. Se si discute o si litiga da amici, questo poi incide automaticamente anche sul nostro lavoro, e c’è da dire che nel nostro gruppo non abbiamo caratteri molto facili… Ovviamente però ci sono anche aspetti positivi, perché essendo amici portiamo avanti i progetti con più complicità ed entusiasmo e ci sentiamo decisamente più liberi.

Le vostre esperienze personali – formative e lavorative – quanto contribuiscono alla ricchezza e varietà creativa dello studio?

Siamo quattro ragazzi nati a Roma (o meglio… tre ragazzi e una tigre), ma abbiamo fatto tutti percorsi molto differenti, sia di studi che di vita. Nel complesso siamo tutti e quattro molto diversi. Questo sicuramente fa sì che tra noi ci sia un approccio alla vita e al lavoro non uniforme, e che ognuno apporti all’interno dello studio idee e caratteristiche che gli altri membri del gruppo non hanno. Se vogliamo trovare delle note in comune possiamo dirti che Gegge e Matteo sono sicuramente i più cinici e pragmatici del gruppo, mentre Massi e Tommasino sono i più estroversi ed empatici.

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Il pubblico dei social vi conosce principalmente per le vostre docuserie di viaggio, la prima sull’avventura vissuta nel Sud Est Asiatico e la seconda, “in onda” ora sul vostro canale YouTube, sull’Argentina. Io, ad esempio, mi sono appassionata alla vostra prima serie perché uscita poco tempo dopo il mio ritorno da un lungo viaggio in Vietnam. Quello che mi ha tenuta incollata allo schermo, in attesa dei vari episodi, è stato rivedermi nelle vostre esperienze e, in qualche modo, riviverle con voi. Vi aspettavate una risposta così entusiasta?

La nostra idea nel fare Wanderama era proprio che lo spettatore si potesse sentire il quinto viaggiatore, quindi ci fa piacere che con te abbia funzionato.

In realtà non smettiamo mai di sorprenderci dei feedback dei fan. Noi ci divertiamo a fare Wanderama ed è stato pazzesco passare dal parlare da soli con una camera, all’avere effettivamente una fanbase attenta e forte. La nostra è una piccola community ma formata da persone che giorno dopo giorno ci dimostrano di essere molto in gamba. Ci siamo affezionati a tanti di loro e stiamo cercando di dare di più anche per questo.

Si dice che la vera prova per uno scrittore emergente sia la sua seconda pubblicazione. La prima serie, “An Asian Odissey” è andata molto bene. Come sta andando la seconda?

Matteo: Al di là di come stia andando, che è ancora tutto da vedere, mi sembra che W2 sia un progetto più armonico e che in qualche modo ci sia stata una crescita non solo tecnica, ma anche di concetto. In generale il piano che abbiamo per il canale mi sembra essere più ordinato e sono convinto che W3 facendolo tutti e 4 insieme verrà ancora meglio.

Dalla prima alla seconda edizione avete cambiato un po’ di cose, come l’impostazione dei vari episodi che, ora, hanno un carattere più divulgativo. Da che cosa dipende questa decisione? Sono stati in qualche modo d’aiuto i commenti e il confronto con i vostri followers? Come si è evoluto il rapporto con loro?

Ascoltiamo costantemente i feedback dei followers, ma siamo noi stessi in primis a metterci sempre in discussione, in fondo i nostri numeri modesti ci obbligano ad una riflessione. Quindi diciamo che un processo di autocritica, incrociato con i feedback dei followers ha portato ad un’evoluzione del format, speriamo in meglio onestamente.

Da quando poi abbiamo iniziato a pubblicare le puntate di Wanderama 2, ed è tornato anche Massi nel gruppo, la nostra presenza sui social e il nostro rapporto con i fan si sono radicalmente intensificati.

Le due rubriche cardine della prima serie sono “Menghi imbarazzanti” e “I maestri”. Come è nata l’idea? Credo che queste cose non si possano programmare prima del viaggio, così come non potevate sapere, immagino, che in Argentina avreste trovato dei bagni creativi praticamente in tutte le città in cui avete soggiornato…

Massimo: Il concetto di “Maestro” è un grande cazzeggio nato anni fa tra me e un mio amico, quando vivevo in Inghilterra. Ogni volta che ci imbattevamo in personaggi assurdi e folkloristici, ci rivolgevamo a loro con l’appellativo di “Maestro”. Questo gioco mi ha sempre divertito molto e me lo sono portato dietro negli anni, trasportandolo poi anche in Wanderama 1.  D’altronde il Sud-Est asiatico è il posto perfetto per incontrare dei grandissimi Maestri.

La Rubrica dei “Menghi imbarazzanti” invece è nata in maniera spontanea in Thailandia, durante Wanderama 1.  Io e Matteo abbiamo da sempre un disgusto profondo per gli insetti… alcuni ci terrorizzano. E quando dalle fessure delle rovine di Ayutthaya è spuntato davanti ai nostri occhi uno scorpione mutante extraterrestre (che ho poi ribattezzato Scoromendro), siamo rimasti sconvolti. Temevo che di insetti così assurdi, in quelle terre, purtroppo ne avremmo incontrati molti altri, quindi istintivamente ho deciso di lanciare una rubrica demenziale che li raccontasse tutti, con l’idea di farla proseguire durante il viaggio. L’aggettivo “imbarazzanti” è venuto dal buon Gegge, il termine “Menghi” invece lo uso fin dai tempi del liceo. Me l’ha messo in testa un mio amico ed ex compagno di classe.

Matteo: Anche la rubrica dei bagni creativi in Argentina è nata in maniera spontanea, vista la peculiarità dei sanitari.

A livello progettuale, l’imprevisto, che inevitabilmente si incontra in un viaggio, come lo gestite? Come rientra nel vostro lavoro finale? Quanto lo influenza?

Paradossalmente l’imprevisto ci gasa. Alla fine siamo 4, in qualche modo ne usciamo, però sappiamo che è linfa per il nostro format quindi speriamo sempre che accadano cose impreviste, anzi, come si dice a Roma “se le annamo a capà ner mazzo”, sarebbe a dire che ce le andiamo a cercare.

I viaggi vanno presi così, in maniera fluida.

Ritornando sull’evoluzione dei vostri vlog, seguendo gli episodi della seconda serie ho percepito la volontà, da parte vostra, di parlare a un pubblico più ampio e diversificato. C’è qualcosa di vero in questa mia sensazione?

Matteo: Questo non saprei, posso dirti però che c’è il desiderio di emergere un minimo, non tanto per la fama, quanto per rendere economicamente sostenibile un progetto che grava unicamente sulle nostre spalle da 4 anni ormai.

Quali sono le difficoltà che avete riscontrato negli anni per riuscire a realizzare questo format in autonomia?

Premessa: noi non siamo stati in grado di intercettare pienamente il linguaggio dei new media, altrimenti avremmo altri numeri.

C’è da dire anche che Wanderama è stato un progetto per alcuni versi molto sfortunato: ci capita di lavorare con produzioni, agenzie e brand come ti dicevamo e ci è successo di intavolare trattative che ci vedessero protagonisti con Wanderama. Purtroppo la dinamica è sempre stata la stessa: grande qualità ma pochi numeri. Questo non solo ci ha fatto saltare tutte le trattative, ma ci ha anche rallentato notevolmente. Quando si fa una trattativa si tendono a congelare i progetti, se la trattativa va in porto si aggiusta il tiro insieme, ma se salta hai solo perso tanto tempo. Ecco a Wanderama questo è successo 6 volte in 4 anni.

La conseguenza positiva è che però oggi noi 4, come gruppo, siamo più forti e andiamo dritti da soli.

Perché, secondo voi, è così difficile dare fiducia ai giovani nel mondo della comunicazione visuale? I numeri (ad esempio i contatti sui social) hanno un peso?

I numeri sono tutto, chi dice il contrario è un bugiardo. Non mi fraintendere però, questa dinamica fa schifo! È completamente morto il ruolo originario del produttore: un tempo si investiva sulle idee (manco su una serie, su un’idea), e l’investimento prevedeva un margine di riuscita e un margine di rischio. Oggi si investe su chi ha i numeri: se tizio ha 1mln di persone che lo seguono e io ho un prodotto che rispecchia il suo target audience, investo su di lui. La produzione è influenzata esclusivamente sul potenziale pubblicitario e non necessariamente sulla qualità dei contenuti, l’ennesima aberrazione del capitalismo.

La seconda docuserie è accompagnata da un podcast nel quale chiedete al vostro pubblico di partecipare attivamente. Mi ha incuriosito il fatto che, in realtà, il vostro podcast sia un video e non solo un contenuto audio. Come mai questa scelta?

Essendo una produzione video ci sembrava un vero controsenso fare un podcast che fosse solo audio. In fondo lo viviamo un po’ come un piccolo show. Ci diverte un sacco parlare con i fan e raccontare le loro disavventure, e ci piace moltissimo il fatto che con il Podcast i nostri fan possano sentirsi parte integrante dello show!

Mi piacerebbe finire augurandovi di tornare presto a viaggiare per raccontare nuove culture e Paesi, ma non vorrei gufare (come l’italiano che si vede nel 1° episodio della serie argentina durante i festeggiamenti del Capodanno 2019-2020), quindi vi chiedo: quali sono i vostri progetti e i vostri sogni?

Tommasino “Uomo dell’anno” secondo la rivista TIME.