Alessio Paniccia – Un raffinato e sensibile intuito creativo, dai tratti puliti che arrivano dritti agli occhi e alle emozioni.

Alessio Paniccia è uno Junior Art Director e Graphic Designer di spiccato talento multiforme con un amore speciale per l’editoria. Scopriamo la sua dimensione:

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Cosa vuol dire essere un art director e un graphic designer per un ragazzo della tua età?

Vuol dire sicuramente avere tante possibilità. Permette di adattarsi, infatti, a molti contesti differenti. È un lavoro dinamico, in grado sempre di evolversi e mutare con i tempi che cambiano. Posso dire anche che, rispetto ad altri, nel settore c’è movimento e il lavoro si può trovare senza enormi difficoltà.

Sono fermamente convinto che sia un settore meritocratico, dove il talento e le skill personali possono fare la differenza: credo che un portfolio curato ed efficace sia meglio di qualsiasi altro curriculum. In questo senso, è importante fare tesoro di ogni esperienza, anche nei casi in cui il lato economico non sia dei migliori. Di solito c’è un punto su cui premo molto quando descrivo le possibilità di questo lavoro, cioè quello di essere a tutti gli effetti una “professione digitale”, perché permette, in molti casi, di lavorare da remoto. Può quindi rappresentare il lavoro ideale anche per chi sogna di avere una maggiore libertà di viaggiare, o più in generale una gestione del tempo libero più fluida. Molti professionisti che oggi si considerano dei “Nomadi digitali”, hanno seguito un percorso simile al mio, soprattutto per quanto riguarda l’ambito web.

Come ho detto, è un lavoro che offre tantissime opportunità, ma proprio per questa sua natura dinamica, sono convinto che richieda un’apertura mentale in più per saperle cogliere. Diciamo che il “pensiero laterale” che si studia in ambito creativo, si deve poi allargare alla vita di tutti i giorni. Avere un’attitudine ricettiva per accorgersi di come il mondo cambi intorno a noi, sottoponendosi ad un continuo stimolo culturale, è il primo passo per diventare consapevoli e crescere.

Dal mio punto di vista è tra le professioni che ti influenzano di più anche sul livello personale. Studiando e lavorando nella comunicazione visiva, oltre a sviluppare nel tempo un proprio metodo, si impara a capire l’importanza delle scelte: ci si allena a porsi delle domande, ma soprattutto ad osservare. Si finisce così, inevitabilmente, per farlo anche al di fuori del contesto lavorativo. È anche grazie al lavoro che ho scelto, se oggi mi ritengo una persona reattiva, che tende, prima di giudicare, ad analizzare le cose più in profondità senza fermarsi alla superficie.

Cosa vuol dire fare il tuo mestiere in una factory?

Sono dell’idea che lavorare a stretto contatto con altre menti sia una tappa praticamente essenziale per ogni designer. È l’unica occasione in cui, secondo me, si può davvero sviluppare il proprio senso critico e diventare più consapevole delle proprie capacità, capire i propri limiti ed imparare a superarli. E’ anche un’opportunità per ridimensionarsi e lasciare spazio alla contaminazione di idee, metodi e punti di vista completamente diversi.

Ho studiato alla Quasar Design University e nella mia esperienza personale, appena finiti gli studi, ho iniziato a lavorare per un’agenzia di comunicazione a Roma, dove sono rimasto per quasi due anni prima di decidere di cambiare. È stata un’esperienza fondamentale che mi ha aiutato a tracciare da subito un percorso, che nel tempo ha assunto tante forme diverse, e che ora sto continuando da solo. A un certo punto, infatti, ho sentito la necessità di cambiare strada. Non è stata una decisione facile, ma ho avuto la sensazione che il percorso che avevo iniziato a tracciare si sarebbe fermato lì, o peggio ancora, che avrebbe preso una direzione diversa da quella che sentivo di volere.

Oggi lavoro come freelance da oltre un anno ed è una dimensione più indipendente, in cui riesco ad inquadrarmi meglio. Sono più consapevole e la mia vita privata ne ha risentito positivamente. È una dimensione totalmente differente, che porta con sé una maggiore libertà ma sicuramente anche meno sicurezze. A questo punto del percorso sto sentendo una nuova necessità, che unisca questa indipendenza allo stimolo creativo di lavorare in team. Posso dirti che ho un progetto in cantiere che va in questa direzione e al momento è in pieno work in progress.

I tuoi progetti sono a cavallo fra l’editoria e l’illustrazione, come ti rapporti alla digitalizzazione?

In realtà mi trovo a metà strada con il mondo più “digitale”. E’ vero, molti dei miei ultimi lavori vanno nelle direzioni che hai citato, ma mi occupo anche di logo design, visual identity, fotografia e soprattutto realizzo siti web, per i quali ho molta richiesta.

In questo momento tendo a pubblicizzare i lati del mio lavoro che preferisco e forse non è sempre chiaro tutto quello che posso fare, ma inizierò sicuramente a lavorarci.

Diciamo che per me il lavoro ideale è quello che fai in digitale, ma con un risultato analogico. Proprio per questo trovo il giusto punto d’incontro nella grafica editoriale. Anche per l’illustrazione in un certo senso è così, ma è un discorso più ampio, perché è una scommessa che ho iniziato da solo nell’ultimo anno e che si è via via concretizzata, come un percorso parallelo a quello del designer, con cui nel tempo sta trovando un punto d’incontro.

Tornando alla domanda, in generale forse la mia passione per l’analogico in parte ancora mi frena. Il totalmente digitale non mi convince sempre in ogni caso. Sono uno che ormai ascolta musica solo in streaming, ma che continua a preferire il libro di carta all’e-book e che nell’ultimo anno ha comprato più giochi da tavolo che videogiochi.

Qual è il tuo rapporto con l’aspetto più materico del design delle comunicazioni?

Come puoi immaginare, è ottimo. Soprattutto per quanto riguarda l’aspetto puramente progettuale, ma più legato ai formati che ai materiali. Non ho mai avuto grandi difficoltà a pensare “su schermo” un progetto che poi avrebbe preso forma in altri modi, ed è forse l’aspetto della progettazione che mi ha sempre portato ad amare di più l’editoria. Sicuramente contribuisce a rendere questo campo operativo più difficile al primo approccio, ma è solo questione di esperienza.

Quando si progetta qualcosa di puramente digitale, per il web o semplicemente per schermo, puoi vedere il risultato finale praticamente in tempo reale. Negli altri casi invece, l’immaginazione ha un peso diverso, perché c’è in più anche la curiosità di vedere come prenderà forma la tua idea. Possiamo anche chiamarlo “effetto sorpresa”, ma poter toccare qualcosa che è stato sullo schermo del mio computer e ancora prima nella mia testa, resta ancora l’emozione più grande.

Quali sono i tuoi progetti di cui vai più fiero e che più ti rappresentano?

Ci sono dei progetti a cui sono più legato per svariati motivi. Il primo che mi viene in mente è sicuramente il progetto grafico del libro “Cerco Lavoro” di Calogero Messina (Edizioni Efesto), perché è stato uno dei miei primi lavori da freelance, e la prima illustrazione che ho realizzato per un progetto vero.  Il libro è un viaggio introspettivo dell’autore, che racconta le sue esperienze personali nel trovarsi a cercare un lavoro oggi in Italia all’età di 49 anni. Il suo punto di vista, che lascia anche spazio all’ironia, è principalmente disilluso e malinconico. “La paura di galleggiare nei propri errori e nel frattempo sentire il peso costante del cielo” è uno dei concetti chiave del libro e dei suoi simbolismi. Ho sintetizzato i concetti del libro in un unico visual che rappresentasse un unico soggetto: un astronauta. Volevo realizzare un’illustrazione a più livelli di lettura, che avesse senso in entrambi i versi. Ho deciso così di invertire il cielo e il mare. L’impressione iniziale dovrebbe essere quella di un normale astronauta che viaggia nel blu, ma non è il blu giusto, perché sta esplorando il mare e non l’universo. Si percepisce che qualcosa non quadra, la scena è capovolta? Sembra che vada alla scoperta degli abissi, ma girando il libro sembra cadere tra i fondali.

Mi sento poi di dover parlare di “Awakening”, un progetto personale che in realtà è parte di un percorso più sperimentale, parallelo a quello del designer. Si tratta di un piccolo flipbook, un libro animato di 70 fotogrammi grande quanto un biglietto da visita. Anche se a guardarlo potrebbe sembrare il contrario, in realtà non è un progetto molto ragionato. È nato in poco tempo, dalla più semplice esigenza espressiva. Ho voluto immortalare un momento pieno d’ispirazione e coscienza, col pretesto di partecipare a un contest internazionale e la voglia di dire qualcosa in un modo totalmente nuovo per me. Ho iniziato a realizzarlo, infatti, per partecipare ad una competizione di settore organizzata annualmente da Napa Books, una piccola casa editrice indipendente di Helsinki. Senza pensarci troppo ho realizzato un prototipo, l’ho spedito in Finlandia e qualche mese dopo ho scoperto di essere tra i 6 finalisti, selezionati tra più di 70 libri provenienti da 15 paesi diversi. Alla fine, “Awakening” si è classificato al secondo posto e ha vinto il premio “Public’s choice”, per il flipbook più votato dai follower. Al momento è edito in Italia da Edizioni Efesto ed e può essere acquistato in libreria e negli store online.

Quando mi chiedono di cosa parla, di solito rispondo che è a libera interpretazione, anche perché io stesso non ci ho ragionato molto in maniera conscia. Oggi posso dire con certezza che è un flipbook sulla consapevolezza di sentirsi parte dell’universo. Spesso perdiamo di vista il senso di ciò che facciamo, il significato delle nostre parole e delle nostre azioni, e di come queste agiscano sugli altri e su noi stessi. “Awakening” vuol dire fermarsi. Vuol dire farsi delle domande: provare a chiudere gli occhi, riflettere sulla nostra condizione umana e su ciò che rappresentiamo nell’universo, per poi tornare alla realtà.

Uno dei progetti più recenti a cui sono molto legato è nato da un altro flipbook, il secondo che ho realizzato, intitolato “Be Kind, Be Brave”. Il libro è nato come una delle iniziative per sostenere “Be Kind”, un film documentario di Sabrina Paravicini e Nino Monteleone, realizzato con il supporto di Gucci. Il film è il viaggio di mamma Sabrina e di suo figlio Nino, affetto sin da piccolo dalla sindrome di Asperger, per raccontare la diversità in ogni sua sfumatura, affiancandola al tema della gentilezza. Il simbolo del film è un elefantino con la proboscide corta, disegnato da Nino per raccontare la sua visione della diversità, cioè nient’altro che una rarità. Attraverso il flipbook, abbiamo voluto raccontare la storia di questo elefantino, di come scoprirà per caso di poter fare qualcosa di inaspettato e di come la diversità sia una questione anche di coraggio, oltre che di gentilezza.

Negli ultimi mesi ho collaborato con loro anche per realizzare il sito web ufficiale del film. Proprio attraverso il sito, è possibile ricevere “Be Kind, Be Brave” sostenendo con una donazione il progetto, che diventerà un premio legato alla diversità e all’inclusione. Ho avuto l’opportunità, infatti, di realizzare anche il logo del “Be Kind Award 2019”, che vedrà la sua prima edizione il 13 novembre, durante la giornata mondiale della gentilezza. Far parte di questo viaggio è stata un’occasione per toccare con mano questa gentilezza e soprattutto per sentirmi parte di un progetto che comunica, in modo spontaneo, qualcosa di importante.