Sergio Andrei si racconta a The Walkman. Impegnatissimo lui, impegnatissimo io, decidiamo di incontrarci in notturna. Io propongo un bistrot francese, lui dice birreria. Alla fine ci vediamo allo Stadlin, dove il 16 maggio è stato presentato il videoclip di Pienodipanico, il suo primo singolo: ansie, paure e la voglia di evaderle.
Ma non c’è solo musica in realtà. Sergio Andrei porta con sé esperienze a teatro, sul grande e sul piccolo schermo oltreché dietro al microfono.

Seduti davanti a quelli che alla fine erano due cocktail (altro che creme brulee, altro che birra), Sergio si racconta. Mi racconta le sue paure, le sue passioni, i suoi dubbi del passato e del presente.

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Dove vi siete incontrati per la prima volta tu e la musica?

Sotto la doccia. Mio padre era un intellettuale, una figura a cui ero molto legato e di cui mi ha sempre affascinato l’amore incondizionato per l’arte e il suo entusiasmo nel parlarne con me. La nostra casa era sommersa dei dischi suoi e di mia madre e io ho cominciato a rubarglieli per ascoltarli quando mi lavavo. E così mentre l’acqua mi cadeva addosso, Gaber cantava per me e io cantavo con lui. Quella è stata anche la sede in cui è nato il mio legame coi cantautori, un legame che da allora è andato verso un crescendo. I grandi musicisti italiani, da de Andrè a Guccini a de Gregori hanno costituito il mio primo approccio alla musica e ricoprono tuttora una posizione-cardine a cui faccio riferimento costantemente.

Le tue esperienze ti hanno portato anche a teatro e nel cinema, ma qual è il tuo “posto nel mondo”?

Non credo che troverò mai il mio posto nel mondo, ma al di là di questo, io so distinguere i confini tra le varie discipline e per questo non mi pongo mai con lo stesso approccio a tutto.

E qual è il tuo approccio alla musica?

Sull’onda musicale sono profondamente Gucciniano. Come lui sostengo che non sia necessario scrivere tutti i giorni per essere un musicista. Posso farlo anche in cinque minuti, ma quello che scrivo lo scrivo in quel momento e per quel momento e deve uscire subito. La musica la vomito, in qualche modo.
Tramite i testi riesco a canalizzare una parte di me che è estremamente rapida. Io sono una serie di impulsi e per questo non torno mai a lavorare su quello che scrivo.

Dal punto di vista dell’approccio, sin da piccolo con i cantautori ho abbracciato una filosofia: la musica d’autore è quasi una militanza per me.
Nonostante non creda nella rivoluzione anarchica, penso che certe persone che hanno sostituito il ruolo di mio padre – i cantautori – sposino benissimo la mia filosofia di vita. La mia filosofia di vita è l’osteria. L’anarchia dell’osteria. “Mi piace far canzoni e bere vino
Mi piace far casino, poi sono nato fesso” dice Guccini.

Tuttavia se la militanza mi appartiene nella musica, talvolta mi accorgo che alcune idee vanno sviluppate in modo diverso, approfondite. Lì devo sforzarmi per dargli forma e farle diventare qualcos’altro, un testo teatrale ad esempio.

Sergio Andrei

Quali storie nascono da queste idee?

Ce n’è una a cui sono particolarmente legato: quando mi sono trasferito con mia madre in Australia, dove ho vissuto per un lunghissimo anno, camminando sulla strada da casa al college ascoltavo de Andrè e ho cominciato a vedere i suoi personaggi camminare sul mio stesso cammino. Mia madre mi disse: “scrivici una storia”. Nasce cosi Trattenendo le nuvole in fuga, una serie di testi, scritti come fossero canzoni ma mai musicati.
Questa è stata una delle prime storie, poi, innumerevoli (molte sono state abbandonate nei miei cassetti, ma non le butterò mai).

E pienodipanico? Come è nata?

Il brano è nato da una combinazione di fattori strani. È il mio primo brano ufficiale e non sarebbe nato se non ci fossero stati alcuni incontri. Un produttore con cui stavo parlando mi ha detto di smetterla di scrivere sopra a brani strumentali, mi ha detto “prendi la chitarra e suona”. Io l’ho presa come una sfida. Ho impugnato la chitarra e ho iniziato. Ho cantato una cosa e mi sono detto “mi piace, cazzo”.
Poi l’ho messa da parte, l’ho lasciata lì sapendo sempre che quella sarebbe stata la mia “nascita”. Non ho ancora capito cosa mi rappresenti appieno, ma in quel momento quello sono io.
Quindi come sempre c’è una forte componente impulsiva, ma stavolta sul brano sono tornato a lavorarci sopra.

Ho avuto bisogno di lavorare sullo special ad esempio. Il testo sembrava profondo ma lo special, che in origine diceva “so tutto matto” lo banalizzava. A volte ho paura della componente pensierosa e probabilmente non avevo il coraggio di prendere sul serio il ritornello visto che lo avevo già fatto con le strofe. Volevo metterci qualcosa di pancia. Non volevo sempre pensare.
Niccolò Fabi ascoltando il pezzo mi ha detto: “con le strofe sembra che tu sia vicino alla poesia, ma poi diventi un urlatore” Effettivamente è quello che sono io nella vita: c’è una parte di me più riflessiva che che mi fa rinchiudere in casa a pensare per una settimana che convive con quella attiva e caciarona.

Pienodipanico è un grido di liberazione, sarebbe bellissimo pensare che altre persone gridano con me, magari nel traffico, ammettendo il loro stato e la loro voglia di liberarsi dal panico.

Alla musica hai accompagnato un videoclip. Come è nato?

Alcune cose capitano quando devono capitare. Mentre Pienodipanico prendeva forma, mi ha contattato Simone Mastronardi, l’aspirante regista che ha regalato una dimensione visiva al mio pezzo. La passione per il cinema che è cresciuta in me insieme alla musica mi ha convinto che il videoclip non avrebbe rivestito un ruolo secondario, anzi.
Così ci siamo messi a pensare. Simone proponeva come protagonista un camionista, una figura costantemente in moto e piena di pensieri e paure. Partendo da lì ho pensato che nel biker si sarebbero riconosciuti i miei coetanei, sarebbe stato più attuale. Questo biker è interpretato da Pietro de Silva, nel video padre di Federico Russo, la cui ansia cresce costantemente col crescere delle commissioni. Ho dedicato questo progetto “a chiunque sia costretto a correre senza potersi fermare mai”.
Il videoclip ha consentito alla canzone di avere una seconda faccia e a me di immergermici fino alla testa. È stato bello vedere una squadra a lavoro per qualcosa di mio. Dagli attori, ai tecnici, Valeria de Angelis che ha curato le grafiche e tutti coloro che si sono resi disponibili.

Beh, sembra che tu stia andando davvero alla grande! Comunque si sono fatte le due, quasi. Puoi darmi un passaggio fino a Piramide?

Avoja.