Michele Nastasi porta avanti la sua ricerca sulla città e sulla sua rappresentazione viaggiando nella penisola araba.

Michele Nastasi è un fotografo milanese, classe 1980, che ha fatto delle diverse possibilità dell’abitare il suo campo d’indagine.
Con Arabian transfer vuole palesare la realtà transitoria di 6 città della penisola araba – Abu Dhabi, Doha, Dubai, Kuwait City, Manama e Riyadh – mettendo in relazione le architetture (soprattutto le nuove, testimoni dello sviluppo repentino di questi paesi), il territorio e chi lo abita.

Già a livello compositivo si nota l’intenzione e la cifra stilistica che Michele Nastasi adotta in questo lavoro, i piani della prospettiva che dialogano tra di loro, l’orizzontalità del luogo da cui il fotografo – e lo spettatore – guardano questa rappresentazione dialoga con la verticalità imponente delle nuove costruzioni, gli abitanti di queste città guardano – o sono guardati da – i grattacieli che da qualche anno sono un segno di riconoscimento della penisola araba in via di sviluppo.

La cosa che balza all’occhio come punto focale è la contrapposizione tra gli abitanti e gli edifici che si stagliano su di essi ma, il punctum, – che Roland Barthes nel suo “la camera chiara” teorizza come “ciò che mi coinvolge in una fotografia, la ferita che suscita in me. È il momento in cui l’immagine mi guarda e agisce sulla mia memoria, agisce su di me” – è la relazione che si instaura tra questi due elementi che, spesso in queste immagini di Nastasi, sembrano distanti tra loro, le persone che abitano il territorio raramente guardano queste costruzioni che, a loro volta, sembrano soltanto stagliarsi su di esse, senza offrirsi veramente come una possibilità alle persone cui dovrebbero rivolgersi.

Esiste una relazione complessa tra due realtà che procedono a velocità diverse e lo sguardo di Michele Nastasi riesce a palesare questa dialettica fondamentale tra l’uomo e le sue modalità di abitazione dello spazio, gettando una luce molto interessante non tanto sul territorio a cambiamento ultimato, quanto sulla sua fase di transizione e sulle difficoltà che questa può comportare.