Eh no, non sarà la bellezza a salvare il mondo. Non basterà credere ardentemente e coscientemente che senza la musica la vita sarebbe un errore. La voce di chi afferma che li dove nasce arte cresce civiltà non verrà ascoltata.

Vien da dire questo dopo aver ascoltato, come tutti, il discorso del premier in merito alla riapertura, alla ripartenza, all’ “andrà tutto bene”, alla fase2. Si parla di tante categorie, dalle aziende ai ristoranti, dai musei agli allenamenti sportivi. Si procede con cautela, con responsabilità com’è giusto che sia. Questo, però, non basta a giustificare l’indifferenza. Il discorso termina lasciandoci tutti muti, sconcertati. Tutti chi?

Il silenzio riservato al settore dell’ “intrattenimento”, degli “spettacoli dal vivo” lacera quel fragile, ma rassicurante, sebbene incerto, ottimismo che aleggia intorno al sogno della fase 2.

Silenzio. Silenzio per tutti coloro che lavorano nell’ambito artistico: musicisti, attori, direttori di sala, guardarobieri, scenografi, custodi, registi, addetti alla produzione, truccatori,  sbigliettatori, ballerini, tecnici del suono, attrezzisti, maschere, produttori, sarti, coreografi, addetti alla distribuzione, tecnici delle luci e ancora tanti, tanti altri.

È dilagante, frustrante il problema per chi, al mondo dell’arte e al proprio strumento di lavoro, qualunque esso sia, spesso ha dedicato una vita intera. 

Oblio. Un oblio che riguarda sia l’aspetto intrattenente che quello economico del mondo artistico. Un oblio così radicato da soffocare persino il ruolo che l’arte ha nella società. In seguito alle decisioni governative sono state tante e diverse le opinioni. C’è chi afferma “Ma come? Basti pensare a quanto l’arte abbia intrattenuto in questi mesi.” chi sostiene che “I musicisti hanno l’esigenza di far emozionare, commuovere, sorridere il loro pubblico.”

Tutto vero, certo. 

Ma in questo momento storico pare sia ritenuto importante, o che detiene un certo senso di prioritario, ciò che riesce a rispondere ad una sola e fatidica domanda: “ A cosa serve?”.

La società ha bisogno dell’arte, esiste una reale urgenza. L’arte è necessaria ad una società che si definisce evoluta e civile.

È la storia che insegna, come sempre, a chi ha memoria.

Il primo esempio della funzione sociale dell’arte, in particolare la musica, risale alle polis dell’Antica Grecia.

Infatti, nel percorso formativo ed educativo di tutti i giovani, era previsto lo studio di, fra le altre, matematica, retorica, ginnastica e musica. Quest’ultima, basata sull’ordine e la matematica, era indispensabile per permettere al giovane di entrare da subito in contatto con la sua parte irrazionale che comprendeva, naturalmente, la sua gioia, i suoi tormenti, le sue passioni.

Era essenziale conoscere se stessi e imparare a ricercare l’equilibrio, in primis, dentro sé.

“Il piacere delle orecchie conta meno della contemplazione della bellezza intellegibile”- Evanghelos Moutsopoulos, membro onorario del Research Center for Greek Philosophy

Anche durante gli studi più avanzati bisognava studiare queste materie, in aggiunta alla filosofia, alla poesia e alla pittura. Il fine ultimo era il raggiungimento della Paideia, intesa non meramente come un processo didattico, ma come formazione umana volta a costituire l’ideale di perfezione morale, culturale e di civiltà: la cultura, nel senso più ampio del termine. Questo tipo di formazione era necessaria affinché il cittadino vivesse in armonia con la società e ne divenisse una parte integrante e attiva.

A tal proposito non si può che citare Platone, che in Repubblica dice: “Il compito del musicista consiste, in primo luogo, nel decantare la virtù degli antenati e dell’offrirla ai giovani come esempio da imitare e, in secondo luogo come incantesimo contro l’ingiustizia”. Infatti, il musicista “ non si accontenta di mettere la più bella armonia nella sua lira o in qualche strumento frivolo, ma vuole calarla nella realtà della sua vita, mettendo d’accordo le sue parole con i suoi atti.”

“Insomma, per farla breve, chi ha a cuore le sorti della Città, deve tener duro sulla norma che non si apportino modifiche lesive dell’ordine costituito alle disposizioni sull’educazione fisica e musicale e che esse siano mantenute il più possibile immutate […]” Platone, Repubblica Libro IV

Sarebbe il caso di ri-volgere l’attenzione ai Caffè Letterari, uno dei più celebri esempi di moltiplicazione sociale e culturale, culla di menti creative e artisti visionari che hanno saputo scuotere fortemente le coscienze civili negli anni in cui fremevano impazienti di esplodere i primi ideali di libertà e uguaglianza.

Si potrebbero menzionare una moltitudine di esempi in cui l’arte vuol dire comunità, collettività.

All’inizio del XX secolo l’arte ha espresso i sentimenti di trasformazione, disagio, speranza, rivolta, disorientamento di interi popoli. La musica ha dato spazio ai canti di sofferenza, sfruttamento e spiritualità di numerose comunità di schiavi afroamericani che intonavano le blue notes.

È della condizione sociale che parlano molte delle opere del nostro Luigi Nono, tra cui Intolleranza 1960 e La Fabbrica Illuminata, il cui intento è di comunicare al pubblico il disagio e le condizioni di lavoro tipiche della moderna società capitalista.

Alla luce di questo è opportuno aggiungere che non è stato menzionato nulla per quel che concerne l’arte in relazione alla sua funzione propagandistica, sacra o narrativa.

C’è, infine, chi considera tutto ciò come ultima delle priorità, ignorando allegramente la fitta trama di condivisione, scambio ed evoluzione che ha caratterizzato il rapporto tra arte e società negli ultimi 3000 anni. È ancora Platone, nel IX libro di Repubblica, che offre la descrizione del Tiranno, un uomo che non ha conosciuto il privilegio dell’educazione, schivo a sentimenti come l’amicizia.

“Quando siffatti individui dello Stato diventano numerosi e altri si aggregano a loro e insieme si rendono conto della loro forza numerica, allora, giocando sull’ignoranza del popolo, danno alla luce il tiranno, ossia quello tra loro che più di ogni altro ha nella sua anima in maniera più netta e in misura più marcata un carattere da tiranno.” 

L’arte è necessaria alla società ed è un bene comune. In quanto tale, è responsabilità di chi governa assicurarne la fruizione e la proliferazione pubblica e non privatistica. È indispensabile che viva non alternativamente al mercato, ma indipendentemente da esso.