Sedia Thonet n. 14 – Bruno Munari diceva che ci sono più culi che sedie e aveva ragione. Attenzione però: c’è sedere e sedere.

La sedia è stata inventata, come la ruota e la scrittura e, come queste, ha segnato rivoluzioni tecnologiche, politiche e sociali, ma difficilmente le pagine di un libro di storia dedicheranno a tale oggetto un paragrafo o un’immagine.
Eppure sedersi è un atto quotidiano: dalla scocca in plastica del sedile della metro, al muretto sotto casa, dalla propria postazione a scuola al water.
Sedersi è un atto politico, dalla Cattedra di San Pietro a Leopardi che, immerso nella frenesia della sua società, sceglie di essere anticonformista: si siede e mira.
Sedersi è un atto estetico e lo sanno le ampie gonne delle donne ritratte nei quadri di Alexander Averin.

Nella storia del design, la sedia rappresenta un’icona, il progetto-sfida a cui i progettisti si sottopongono e, in tutta sincerità, anche scriverne mi fa percepire la consistenza di una certa responsabilità.

Quello della sedia modello numero 14 prodotta da Thonet a partire dal 1860 è forse il più prezioso progetto di design di sempre. Oggetto imperfettibile, segna nella storia del design una delle prime tappe, parendo allo stesso tempo memore di una tradizione industriale che non era ancora esistita.

Siamo nel 1851 e a Londra gli alberi di Hyde Park abitano una struttura di fattura eccezionale e inedita: uno spazio di altezze vertiginose concepito esattamente come una serra, costruito perlopiù con ferro e vetro, progettato da Joseph Paxton. Il celebre edificio, noto come Crystal Palace, in realtà non nasce per custodire la vegetazione, naturalmente inglobata al suo interno, piuttosto è custode di cose letteralmente mai viste: la Great Exhibition voluta quell’anno dal Principe Alberto su consiglio del suo braccio destro, Henry Cole, fu concepita con l’obiettivo di allestire un’immensa vetrina dei prodotti partoriti dalle nuove tecnologie della seconda rivoluzione industriale.

Lungo le navate, sei milioni di persone poterono stupirsi nel vedere per la prima volta le macchine di un’industria radicalmente rinnovata e i suoi prodotti, gli stessi che saranno al centro di una querelle che ha coinvolto i maggiori pensatori, gli artisti, gli architetti e i protodesigner riguardo l’aspetto dei nuovi oggetti, figli di tecnologie inedite che dovranno abbandonare il guscio dell’estetica del manufatto artigianale e accoglierne una originale. Renato De Fusco ha evidenziato come “Se questo [il Crystal Palace] costituì il capolavoro della mostra, l’insuperata soluzione di un problema architettonico in termini di design, gli oggetti in esso contenuti mostrarono tutte le incertezze e le contraddizioni del binomio arte-industria”. Tale questione verrà placata per la prima volta dalla diffusione del liberty capace di suggerire una soluzione formale inedita, adatta alle nuove tecnologie.

Il posto d’onore nella memoria degli eventi del 1851 comunque lo occupano i mobili di Michael Thonet, maestro ebanista nato in Prussia e accolto a Vienna dal principe di Metternich al quale prestò servizio come artigiano di corte. All’esposizione universale, Thonet presenta una prima produzione, per certi versi acerba, ottenuta mediante l’innovativo processo da lui brevettato.

La tecnica rivoluzionaria di Thonet origina dalla necessità di ottenere mobili robusti e pratici e consente di piegare il legno di faggio inumidito con il vapore e, mediante la guida di ferri e morsetti, costringerlo in forme che permangono dopo l’asciugatura in un forno appositamente progettato.

La figlia prediletta di tutta la serie è quella che nei grandi cataloghi dell’azienda veniva riportata come modello n. 14 e che nasce nel 1859 dopo trent’anni di sperimentazioni.

La n. 14 veniva venduta al prezzo di tre fiorini austriaci (l’equivalente di tre dozzine di uova o una bottiglia di buon vino), in un kit composto di soli sei elementi e dieci viti, praticamente, se il prezzo non fosse cresciuto esponenzialmente nel tempo, oggi farebbe concorrenza a Ikea.
Rivoluzionario anche il packaging: in meno di un mq entravano e si potevano spedire trentasei sedie.

Non a caso la sedia modello n. 14 è la più venduta della storia: secondo alcuni calcoli prima del 1930 sono stati prodotti e venduti circa cinquanta milioni di pezzi e prima del 1890, su dieci sedie prodotte, più di sei sono di questo modello.

Ma in che modo questo oggetto è stato l’artefice di una rivoluzione?

La risposta esce dai confini del mondo del design. Non bastano la tecnica e l’estetica innovativi, non il basso costo o i conseguenti numeri legati alla sua vendita: la rivoluzione del modello numero 14 è sociale.

Questa sedia, in poche parole, si è inventata una classe sociale: con la sua diffusione – ripetiamolo ancora – straordinariamente rapida e copiosa, per la prima volta gli spazi pubblici divengono spazi sociali. La sovrapposizione dei due concetti è oggi scontata e la sua nascita difficile da concepire, ma prima di questa icona a quattro zampe e grazie anche ad altri fattori a lei coevi, non esisteva un giusto mezzo tra l’istituzionalità del trono e quindi gli spazi aulici e elitari e quelli più poveri dei contadini. Sedersi è un atto popolare solo a partire da quel momento ed è fondamentalmente grazie a questo “essere popolare” che la middle class inizia a emergere.

La quattordicesima sedia di Thonet diviene (e tuttora rimane) metafora di nuove possibilità e sogni, di democrazia, di parità e per questo è massiccia la sua presenza non solo nelle nostre case e nei luoghi che frequentiamo quotidianamente, ma anche nei linguaggi visivi, film, dipinti e fotografie.

Henri de Toulouse-Lautrec, Au Moulin Rouge, 1892

Quello legato alla N. 14, rappresenti sempre un sedere prezioso.