Non cerco mio padre, vivo me stesso. Ho trascorso giorni, mesi, anni a parlarmi, a conoscermi. Non ho cercato mio padre, l’ho vissuto nei miei gesti, pensieri, valori, ideali. Il pilastro del mio tutto, crollato, apparentemente, ma esistente, vitale!

Sei anni di assenza, di mancati saluti, giochi, scherzi e pianti. Sei anni senza vittorie, festeggiamenti, complimenti. Sei anni di forza!

Un padre presente, seppur composto. Un padre che, con sapiente rispetto, controllava la mia crescita, il mio diventare uomo. Amava la musica, l’arte, la bellezza delle cose e della vita. Generoso, forse troppo. Sempre pronto a tendere la mano. Non un padre padrone. Figlio del ’68, della libertà. Devo la mia sete di indipendenza a lui, al suo insegnarmi il rispetto verso tutti, verso la vita altrui, le donne. Non conosco l’odio, il rancore, la violenza, il disprezzo. Conosco l’amore. Il difendere gli oppressi, i maltrattati.  Conosco l’amore per la vita.

LEGGI ANCHE: Pantani ha fatto il vuoto

Tutto inizia il 27 gennaio. Tutto cambia.

Ero andato lì, in quel luogo che per tanto tempo mi è stato ostile, il suo posto di lavoro, a chiedergli se volesse una pizza. Non ho mai avuto una risposta! Ho trovato un nuovo ciclo della mia vita, imposto; mio padre era lì, inerte, non era più il mio pilastro. Ho preso in mano la situazione, da solo, giovanissimo. Ho curato tutto, il funerale, mia madre, mia sorella. Non ho pianto, ho sorriso.

Sono salito al secondo piano, sopra la camera ardente. Ho scritto una lettera, colma di gioia, sorriso, positività. Ho indirizzato il dolore verso il rispetto, il rispetto alla mia vita, quella dei miei cari. Con il cuore in gola ho preso coraggio, forza. Bocca asciutta, salivazione azzerata. Sono salito sul pulpito, ho letto la mia lettera, la mia dedica, davanti ad una chiesa gremita. Avevo fatto il mio dovere da figlio, da ragazzo educato. Eppure mancava qualcosa, non ero pienamente soddisfatto. Non ho mai avuto un affetto così grande, immenso, onesto e veritiero. Un bagno di folla. Casa di mia madre era meta di pellegrinaggio. Persone, anche sconosciute, che portavano un abbraccio, un sorriso.

Il calore, lo stesso che le mani di mio padre mi trasmettevano, lì, nella stanza a lui dedicata. Quel calore che mi scalda ancora oggi, dopo sei anni. Non cerco mio padre, vivo me stesso.

Non l’ho voluto lasciare, l’ho accompagnato fino alla fine. Io, lì, solitario. Ho trasformato in positività tutto. Il rumore dei chiodi che chiudevano la bara, il suono del cemento che fissava la lapide. Non ho avuto paura a sorridere, ad andare avanti. Ho lottato contro la mia anima, contro la mia carne. Volevo portare positività, volevo dare l’esempio a mia madre, mia sorella. Volevo essere d’esempio per il futuro.

Non cerco mio padre, vivo me stesso.

Il mio domani era fatto di positività, sete di vita. Tutto ciò che mi arricchiva dentro mi rendeva vitale. I musei, il progettare, le serate con gli amici!

Ci vuole coraggio nel sorridere, tanto. Facile sarebbe piangere, disperarsi, chiedersi il perché. A me non interessa, interessa farlo vivere attraverso i valori, gli ideali che mi ha insegnato: difendere i deboli, portare avanti la verità. Questo è mio padre, l’azione positiva, non il pianto. Piangere non aiuta, distrugge le membra, l’anima. La traghetta verso il brutto, l’oscuro. Ho chiuso la mia anima nella filosofia, nel libero pensiero, nella progettazione creativa. Ho apparentemente rinviato la somatizzazione del dolore.

LEGGI ANCHE: Epoca della nostalgia – Vivevamo meglio prima?

Il dolore è arrivato, violento. Impattante ma silente. In piena estate, la stagione della positività.

L’ho somatizzato, ad agosto, di notte, tornato da Napoli. Dopo sei anni. Ho accusato malori. Ho pensato a mio padre. Ero convinto fosse un qualcosa di mortale, il suo stesso. Ho permesso alla negatività di prendere possesso della mia anima, di approfittare della mia stanchezza. Non era nulla, era ansia, stress, paura. Una piccola caduta del mio spirito. Quella stessa ansia che per 6 anni avevo soffocato è apparsa, battagliera, intenta a rovinarmi. Potente come Athena.

Corro al pronto soccorso. La negatività mi solcava il volto. L’ipocondria aveva preso possesso della mia anima. Sono stati giorni bui, avevo la discussione di tesi dopo due mesi, avevo ancora del lavoro da fare. Non potevo permettere alla negatività di prendere il sopravvento. L’avevo combattuta per sei anni, apparentemente.

Pochi giorni di buio totale, di totale assenza dal mondo, di continue visite mediche. Ero perfetto, sano, potevo e dovevo reagire. Ho reagito! Non ho permesso di essere colpito. Dovevo vivere!

Ho tenuto all’oscuro i miei amici (molti lo scopriranno solo ora). Sapevo di essere lo stesso Jacopo che ama la vita. Quel ragazzo che ama l’architettura, la bellezza della vita, Che ama passare ore nei musei e fare serata fino all’alba. Prima di agosto ero pieno di vita, spensieratezza. Però sapevo d’essere ancora lo stesso, nonostante il buio.

Ho chiuso l’ansia in un cassetto, una cassaforte! Ho gettato la chiave, l’ho resa polvere. Ho somatizzato la morte di mio padre. Non cerco mio padre, vivo me stesso.

Posso urlarlo, forte. Ho vinto! Ce l’ho fatta! Ho superato la morte di mio padre, non ho pianto! Ho somatizzato il suo addio. L’ho sviscerato, analizzato e razionalizzato. Ho trasformato il male in sorriso. Sono tornato nei musei, nel mio habitat. Quella irrefrenabile voglia di fare serata è tornata, più ardente di prima. Adesso mi riconosco, adesso sono Jacopo. Ho maturato una nuova consapevolezza di me stesso. La solitudine ci logora ma ci apre le porte del nostro io interiore, quello nascosto, sepolto.

Non permettete all’ansia di portarvi all’apatia, alla morte!

Avete il compito di fare lo stesso, di sorridere. Non dovete permettere alla negatività, all’ansia, di abbattervi, di portarvi alla morte. Trasformate il dolore in pienezza, pienezza di vivere. Trasformate un addio in fondamenta del vostro nuovo essere. Non permettete alla negazione della bellezza, della vita, di uccidervi. Indirizzate le paure verso ciò che vi rende energici, ciò che vi porta alla conoscenza di voi stessi. Somatizzate con maturità.

Dopo sei anni ho imparato a conoscermi, a vivermi.

Jacopo è tornato, non riandrà via!

Non cerco mio padre, vivo me stesso.