Essere Donna Fa Schifo – Rubrica al femminile.
No taboo/censure. Tratterò di tutto. Anche quello che non immaginate.

“Giochiamo alla famiglia?” All’asilo, tra le bambine, questo era il gioco più gettonato. Ma diciamoci la verità, per essere anche politically correct, in primis non c’era nessun rispetto della diversità, i ruoli erano sempre quelli; era umiliante, peggio di 50 sfumature di grigio, se ti capitava di fare il cane, il gatto o il bebè, eri costretto a 4 zampe tutto il tempo, e ti potevi esprimere solo a versi e vagiti; infine, che noia! Lo possiamo dire? Già lo pensavo a 5 anni, immaginate ora!

Per me giocare, non si poteva ridurre alla mera quotidianità, al simulare la famiglia, o fare il medico (in cui ci si limitava ad auscultarsi a vicenda con lo stetoscopio e farsi siringhe senza ago) o la maestra (come amare farsi bacchettare a scuola e dalle tue coetanee nel post). Ed il Cicciobello? Vogliamo parlare del Cicciobello o di Sbrodolina o di Valentina (che gattona, che cammina, vieni qua!) che avevano bisogno assolutamente di una “mamma vera come te”? Quanto può essere costruttivo e divertente stare dietro ad un bambino di plastica che piange per finta? Ve lo dico io, zero carbonella.

Giocare significa divertirsi e dovrebbe, quindi, essere un modo per andare oltre, per fantasticare, per immaginare di essere e poter fare qualsiasi cosa. I giochi che ho potuto inventare e sperimentare, quando ero bambina, erano i seguenti: Agente segreto, perché disegnando accuratamente una planimetria di casa, potevi progettare di arrivare in qualsiasi stanza senza farti vedere; Streghe, perché potevi simulare di avere dei poteri sovrannaturali come nella serie omonima, ed io ovviamente, ero sempre Piper perché mi piaceva di più l’idea di poter fermare il tempo, andarsene senza che nessuno potesse fermarti, piuttosto che far scoppiare le persone alla Prue e mettere ansia alla gente con le previsioni di Phoebe; costruire una casa di bambole con le scatole di scarpe, perché se avessi preso in considerazione la carriera da architetto, già avrei fatto pratica; inventare e disegnare nuovi Pokémon, per brevettarli ipoteticamente; inventare storie su nuovi supereroi, per farli diventare un film venti anni dopo; improvvisarsi chimico, mescolando saponi ed essenze per realizzare nuovi profumi da regalare ai compleanni; e sì anche rischiare la morte o lesioni perenni sulle discese dei box auto con ogni mezzo possibile ed immaginabile. Questi in realtà sono solo i primi passatempi di una lunga serie e molti di questi sono stati attuabili perché oltre ad avere una fervida immaginazione, avevo anche un giusto complice, Davide (vedi #lapipì) perché il bello dello svago è anche quello di poter condividere avventure con gli altri.

Devo dire la verità, che quando mi capitava di passare il tempo a casa di alcune compagne di classe, mi sentivo un po’ sbagliata. Loro avevano le Barbie o il piccolo asse con il ferro da stiro mentre io a 7 anni avevo deciso di regalare tutte le mie bambole ai bambini poveri e più che fingere di pulire e stirare, venivo vestita con gli abiti dei miei cugini per andare a giocare a calcio al parco, quindi più che pulire mi sporcavo. E mi piaceva! Ma crescendo le cose cambiano…

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“Voi cosa ci mettete nella parte di cervello, dove noi mettiamo il calcio?” mi disse una volta un compagno di classe del liceo. Secondo il noto stereotipo del maschio calciatore e della donna velina, sarebbero presenti delle aree d’interesse, comuni tra generi, in ogni nostro bagaglio culturale. Secondo questo schema, non esisterebbero Alex Morgan e Rupaul, ma andiamo avanti. Le femmine, quindi, sono quelle che amano farsi belle come le Barbie, truccarsi, pettinarsi e da piccole sicuramente possedevano un Cicciobello, per imparare ad accudire e amare un essere vivente (e non, in questo caso) e di conseguenza imparare a pulire, stirare e cucinare. Mentre i maschi sfogherebbero la propria virilità attraverso attività più dinamiche come calci ad un pallone, pugni, salti e robe simili.

Personalmente, posso testimoniare che non sempre ho sentito questo bug di genere. Quando avevo 10-11 anni e mi hanno regalato per Natale la mia prima playstation, sotto consiglio di mio fratello (ovviamente per mire personali), mi è capitato molte volte di collaudare con lui una serie di videogame estremi, dal basket al tennis, da Mortal Kombat a Prince of Persia. Le uniche realtà videoludiche da cui venivo tenuta a distanza di sicurezza erano Fifa e Pes, così tanto da rispettarne la scelta. I compagni perfetti erano il fidanzato di mia sorella, cugini, amici e colleghi. In breve, qualunque essere maschile che fosse passato per caso per la nostra abitazione.

Col tempo, ho capito che questo atteggiamento derivasse più dalla stessa legge che regola le offerte di lavoro che altro: se hai più di due anni di esperienza, non avresti bisogno di formazione e le possibilità di errore sarebbero limitate. Credo o spero. Mentre ho avuto dubbi in situazioni in cui condividi volentieri la tua maschera facciale con I’amico gay, ma lui alla ricerca di compagni per la partitella della domenica, ti scavalca per invitare il primo essere adibito del giusto genitale tra le gambe. Non importa se sai giocare o meno, l’importante è che tu sia maschio, etero o gay non importa.