Le mie interviste iniziano sempre dichiarando cosa io e l’intervistato stessimo bevendo durante la nostra chiacchierata. Questo non è un dettaglio irrilevante: se è vero che siamo quello che mangiamo (e beviamo), allora dire cosa una persona beve significa, in parte, dire cosa la persona è.

Barbara Muratori è un tè caldo, in vetro, con mandarini, frutta secca e biscotti al cioccolato.

Sono andato a trovare Barbara Muratori nel suo appartamento nel centro di Roma per conoscere meglio Sab, il personaggio che disegna dal 2016, a volte con le mutande e a volte senza (e la differenza è più importante di quanto si possa pensare).

Ma chi è questo personaggio? Sei tu?

Sab è un prolungamento della mia mentalità nella fase adolescente e infantile, ci sono degli atteggiamenti estremamente immaturi in lei, è quella voce che mi parla quando mi succede qualcosa di negativo, quella che vuole sbattere i piedi per terra e dire “no, uffa, non mi va, voglio fare quello che mi va di fare e sentire quello che mi va di sentire”.
È la dimensione che ancora esiste in me che – nonostante io sia cresciuta e sia una persona capace di prendere in mano la situazione e comportarsi in modo responsabile – vuole dire che è triste, che ha voglia di scopare, vuole dire ciò che le passa per la testa senza preoccuparsi di essere egoista o egocentrica, tutte quelle cose che nella società moderna non sono accettabili. Io mi sforzo molto di essere consona e Sab è diventato il modo di esprimere quella parte di meche tendo a tenere molto sotto controllo, a cui spesso metto freno, infatti ha il taglio di capelli di quando ero bambina, per ricollegarsi a quell’età della vita.

E la nudità? Indica un’assenza di filtri?

Esattamente, mi serve ad annullare tutto quello che c’è tra me e il mondo. Ci sono due tipi di Sab: quella con le mutande addosso e quella senza mutande. È la differenza tra la Sab che si mostra rifiutando ogni minimo filtro e quella che vuole mantenere un pò le distanze, quella che si pone il problema.

Faccio attenzione alle mutande: gliele metto quando non sta dicendo esattamente quello che pensa, nel momento in cui si racconta e si apre totalmente, le tolgo pure quelle.

Il disegno dei tuoi impulsi nasce dall’impulso oppure da un ragionamento più ponderato?

Prima di disegnare di solito scrivo. Mi metto lì e scrivo quello che penso, senza preoccuparmi che si capisca. Non è un diario, non serve a spiegare, scrivo come se chi legge sappia già di cosa parlo, non sono didascalica, ma racconto come mi sono sentita, come ciò che è successo (che non è rilevante) mi ha fatto sentire. Spesso l’idea nasce perché rimugino su un tema, sul consiglio di un amico, su qualcosa uscito fuori dalle sedute con lo psicologo e dico “ok, qui c’è un argomento che voglio analizzare”.
Tempo fa un mio amico, o forse il mio ragazzo (?), mi aveva definita “cognitivamente ridondante”: è come se ci fosse un rimbombo interno in me per cui le cose si ampliano e diventano più astratte di come sono in partenza, non mi piace essere chiara e dare la “pappa pronta”.

Quindi il testo è sia un punto di partenza che una componente del risultato finale. Potresti mai concepire una Sab senza parole?

Nelle illustrazioni singole sono molto necessarie. Nel fumetto, nella sequenza di immagini, posso farne a meno. Una figura introspettiva come quella di Sab non ha bisogno di proiezioni o mezzi come le nuvolette del pensiero, lei è già puro pensiero; non voglio nemmeno ricorrere agli spiegoni, non mi piacciono e forse quando chi disegna ne sente il bisogno è perché l’illustrazione manca di narrazione visiva.

Ma se Sab è un tuo input intimo e personale e nemmeno ti sforzi di spiegarlo con le parole il tuo pubblico cosa ci trova?

In realtà mi chiedo spesso perché le mie illustrazioni abbiano successo e smuovano così tanto i miei followers; c’è molta interazione, ricevo molti messaggi, molti commenti. In genere mi scrivono che hanno trovato nei miei disegni delle emozioni che non sapevano come esprimere e come spiegare agli altri, effettivamente spesso è difficile essere onesti su come ci si sente e lo capisco. L’illustrazione ti deresponsabilizza delle cose che stai dicendo perché c’è sempre un filtro, soprattutto se lo fai come me che non sono mai troppo esplicita. È un modo sicuro per esprimere la propria opinione.

Quindi effettivamente non disegni per te, non sei l’artista romantico che dipinge per sé stesso.

Assolutamente no: io voglio parlare di cosa provo e far ragionare le persone su cosa loro stiano provando. Espongo un tema e dico: io mi sento così, ti ci senti anche tu? No? Come ti senti allora? Quando non ho molta interazione, molto riscontro, significa che ho esternato una sensazione molto personale, inconsueta. Trovo super interessanti le diverse interpretazioni. È il motivo per cui mi affascinano le macchie di Rorschach (il test di Rorschach è un test psicologico che si sottopone per l’indagine della personalità. Ai soggetti vengono mostrate delle tavole che riportano macchie d’inchiostro simmetriche e viene chiesto loro cosa quelle macchie gli ricordino. In base alla risposta lo psicologo formula una valutazione): il significato che do alle mie illustrazioni si perde nel momento in cui arrivano a qualcun altro che decide cosa vederci, l’interpretazione è volutamente aperta, ciò che mi interessa è smuovere le persone, parlare a loro e per farlo è necessario lasciargli una parte del compito: non apprezzo i fumetti che ti trattano da scemo, che ti deresponsabilizzano, piuttosto penso che i lettori possano comprendere e analizzare, basta che ne abbiano voglia. Questo accade anche nel design: spesso pare che l’utente sia stupido, quindi bisogna rendergli tutto il più facile possibile. Che noia.

È anche qui che volevo arrivare: ti stai formando come designer di prodotto, quanto è diverso l’approccio alle due discipline?

Io metto in entrambe la stessa mentalità: è solo questione di sapere dove finisco io e dove inizia l’utente. La differenza è che la progettazione mi fa partire dalla logica e chiedermi cosa sia necessario e cosa non lo sia, nel disegno ci metto tutto quello che mi sento di metterci e poi lascio un margine di interpretazione. Comunque il disegno lo vivo poco da artistoide, mi pare assurdo pensare tipo “l’arte non si vende, vendere le proprie opere significa vendersi”. È un mestiere. E per questo si porta dietro progettazione: analisi, programma, metodo.

Non credi nella spinta creativa da oppiacei.

Esatto, niente oppiacei. Concentrarsi e capire cosa comunicare, in modo cosciente: deve funzionare.

So che stai lavorando a un progetto editoriale molto importante.

Uscirà verso la fine del prossimo anno. Ho organizzato tutto il lavoro da oggi fino ad allora. L’altro giorno un mio amico, @giangioff, mi ha detto “tu fai fumetti come fossi un matematico, calcoli ogni singola cosa”. Lui è molto istintivo e apprezza il mio metodo, io invece a volte ho temuto che questa meticolosa progettazione potesse portarmi a produrre un lavoro freddo perchè molto calcolato, ma so che è solo una sensazione mia.

Il tuo è una sorta di “design del fumetto”.

Mi piace “design del fumetto”, direi che si può usare.

Comunque questo @giangioff l’ho visto spesso nelle tue storie, è una figura importante per te?

Ogni volta che ne ho occasione lo ringrazio. Spesso ci inviamo tavole, ci diamo consigli, ci mandiamo audio chilometrici. C’è un profondo supporto reciproco, soprattutto in passato ha spammato il mio lavoro sul suo profilo, insistendo su quanto credesse in me. Lui ha un grande pubblico, quindi è stato un grande aiuto.

E gli altri fumettisti?

Molti dei miei followers sono fumettisti oppure editori e mi apprezzano. Questo è un ottimo segnale, ho avuto un grande eco in quel mondo. È come quando vai in un ristorante di cucina cinese e ci trovi gente di quel paese a mangiare: vuol dire che è buono.

Un ottimo segnale! Dove ti sta portando tutto questo?

Sto lavorando ad altri personaggi. Sab ha un carattere molto definito, io invece, com’è normale, cresco e cambio e sviluppo nuovi lati del mio carattere che non avrebbe senso forzare in Sab; lei ormai si è separata dalla mia persona, è un personaggio a sè, non è più il mio esatto riflesso, non deve essere come me. Ecco perchè sto pensando di creare nuovi personaggi con caratteri molto diversi, anche più forti, caratteri più aspri.

Sto lavorando a dei personaggi maschili, ma è difficile per me: sono una persona molto femminile per ciò che viene canonicamente considerato tale: sono molto emotiva, sensibile e quindi sono un pò lontana dallo stereotipo dell’uomo e temo di non poter comunicare agli uomini con personaggi maschili quanto lo faccia alle donne con quelli femminili.

Che te ne frega dello stereotipo?

Temo che creando personaggi maschili con la mia mentalità femminile, continuerei a parlare a un pubblico fatto principalmente di donne.

Che comunque potrebbe essere interessante, no?

Potrebbe essere interessante, assolutamente, ma devo ragionarci e lo sto facendo. Mi manca quella prepotenza per dire, da donna, cosa significhi essere uomo e come gli uomini vivano il mondo, perchè io non subisco le discriminazioni e le pressioni sociali che soffrono gli uomini. Mi manca quella prepotenza (che in alcuni casi è positiva) per raccontare ciò che non conosco.
Sab racconta cosa succede nel mio cervello femminile, come posso far parlare il cervello di un maschio? Al massimo potrei raccontare personaggi maschili che conosco bene perchè sono stata in intimità con loro.

Comunque visto che prima le hai nominate, non me ne vado senza che mi dica cosa ci vedi nelle macchie di Rorschach che hai appeso qui.

Io ci vedo delle ballerine. hai presente il carnevale brasiliano? Vedo due donne di colore con dei fiori rossi nei capelli che ballano con vestiti colorati, molto libere, le immagino davvero libere.

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