“Giace lì. Che la sua anima riposi in pace insieme alla sua scortesia. Poeta, profeta, fuorilegge, imbroglione, star di elettricità, inchiodato da un guardone che presto avrebbe scoperto che anche il fantasma era più di una persona
Sintetizzando: Bob Dylan.

I’m not there (2007) è il film biografico di Todd Haynes dedicato all’emblematico cantautore, che ha “creato una nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione musicale americana”. Nonostante la bancarotta musicale, il 2016 rimane l’anno del Nobel per la Letteratura a Bob Dylan. Se n’è discusso, e molto ancora se ne discuterà. Non sarà questo il luogo per stabilire la legittimità o meno di questa assegnazione. Ci limitiamo a farvi ripercorrere la storia di Dylan attraverso un sentiero non battuto.

“Le sole cose veramente naturali sono i sogni che la natura non può toccare con la decomposizione!”

Sei personaggi diversi che intrecciano le loro storie di protesta, disagio, erranza e solitudine, ognuno per un aspetto della vita artistica e privata del menestrello americano. Woody (Marcus Carl Franklin), un undicenne afro-americano in fuga che afferma di essere il noto cantante folk Woody Guthrie.  Arthur (Ben Whishaw), il poeta visionario sottoposto ad un colloquio sulla propria carriera. E ancora Robbie (Heath Ledger), seducente attore hollywoodiano. Jude ( Cate Blanchett), la giovane rockstar androgina che ha frustrato i suoi fan col brusco passaggio dal folk acustico al rock elettrico. John/Jack (Christian Bale) un idolo del folk che si reinventa come cristiano rinato. Billy the kid (Richard Gere), il famoso fuorilegge, che ormai vecchio è vivo solo per miracolo.

I’m not there non ha nulla del biopic tradizionale. È il tentativo di svelare le contraddizioni di Bob Dylan, facendo della contraddizione l’elemento narrativo portante. Ogni Dylan è coerente alle proprie condizioni, al proprio microcosmo narrativo,  e la vicenda biografica nel suo complesso è tenuta insieme da sottilissimi fili conduttori. In questo itinerario introspettivo, sei attori, sei diversi stili di regia, sei personaggi in cerca d’autore che confermano l’impossibilità di racchiudere Dylan in confini ben precisi.

Dylan (Blanchet) e Ginberg (Cross)
Dylan (Blanchet) e Ginberg (Cross)
Dylan (Blanchet) e Ginberg (Cross)
Dylan (Blanchet) e Ginberg (Cross)
Cate Blanchett
Cate Blanchett
Robbie (Heath Ledger)
Robbie (Heath Ledger)
Arthur (Ben Whishaw)
Arthur (Ben Whishaw)
William ( Richard Gere)
William ( Richard Gere)
Woody (Marcus Carl Franklin)
Woody (Marcus Carl Franklin)
Jack (C. Bale)
Jack (C. Bale)
Jack (C. Bale)
Jack (C. Bale)
Jack (C. Bale)
Jack (C. Bale)

Cantastorie, contestatore e reazionario, protestante ed ebreo, tossicodipendente e vegetariano, commerciale ed elitario, acustico ed elettrico. In definitiva un anticonformista totale, simbolo eccentrico  e controverso del Novecento.
Nessuno come Dylan si è così accanito contro il suo stesso mito, spiazzando il pubblico e la critica con scelte sorprendenti. L’esordio folk, l’apice del successo. La svolta elettrica degli anni ’60, la conversione al credo dei Cristiani rinati. L’incidente di moto e il conseguente ritiro dalle scene, fino al recente approdo agli spot pubblicitari. Ogni storia esprime un aspetto della sfuggente personalità di Bob Dylan, con uno stile che si adegua di volta in volta alla tematica.

“I’m not there” è il titolo di una ballata americana che Dylan ha inciso con la Band nel 1967 nelle session per “The Basement Tapes”. Il brano è stato poi omesso dalla scaletta definitiva dell’album. Riesumato soltanto molti anni dopo, non è mai uscito ufficialmente. Una canzone che non c’è dunque, e che forse non c’è mai stata. E così Dylan, che riecheggia in ogni fotogramma senza esser mai designato in maniera chiara e diretta. Una figura tanto geniale quanto fantasmatica. Si può tentare un racconto, non una spiegazione. Ed è ciò che Todd Haynes si è proposto: ha scoperto nuove informazioni sulla vita (già analizzata a fondo) del menestrello del rock, soprattutto sull’infanzia e sulla vita privata, custodita molto gelosamente.
Il risultato è un film sorprendente, problematico.  Probabilmente memorabile.

“Nessuno verrà mai convertito da una canzone. Non c’è canzone di Phil Ochs che manterrà un movimento in movimento o un picchettatore a picchettare. Le sue canzoni sono atti di coscienza personale, come bruciare una cartolina di leva o bruciare se stessi, non fa un accidenti di niente, tranne dissociare te e il tuo pubblico da tutti i mali del mondo e io rifiuto di essere dissociato da quelli…”