Sanremo è finito anche quest’anno. Al di là della musica, la potenza comunicativa del Festival resta formidabile. Tutti guardano Sanremo, per una settimana nel paese non si parla d’altro e i messaggi trasmessi nelle cinque serate sono recepiti da decine di milioni di persone.

Indicativo è il fatturato per la pubblicità, che quest’anno ha superato per la prima volta i 50 milioni di euro. È un’occasione, più unica che rara, in un mondo di mediatizzazione frammentata, on demand e digitale, di trasmettere messaggi condivisi attraverso la televisione. Questa settimana di febbraio, esattamente come 73 anni fa, gli italiani si sono seduti davanti alla televisione e hanno ascoltato quello che il Festival diceva loro. Sanremo è forse l’ultimo pezzo di televisione che mantiene, insieme a una consistente parte commerciale, l’intento pedagogico della televisione pubblica italiana così come è stata pensata nel 1954.

La sensazione che io e alcuni amici abbiamo avuto è che il Festival di quest’anno sia stato un momento finale di liberazione per gli autori. Che sia stato pensato e realizzato con l’idea che questo fosse l’ultimo Sanremo a.s., avanti sovranismo, e che quindi bisognasse in qualche modo trasmettere quante più istanze progressiste possibile, senza pensare alle conseguenze, perché, tanto, la pacchia è finita (cit.). In questo clima da ultima volta, è arrivato niente di meno che il Presidente della Repubblica a salutare questo Sanremo del progresso che, per dirlo nelle parole di Mina, appena nato è già finito. 

Sono cresciuto pensando che Sanremo fosse una cosa per vecchi, un evento nazionalpopolare stanco e noioso. Eppure, negli ultimi quattro anni, non me ne sono perso uno. Oggi, a tavola con i miei amici, abbiamo convenuto che la svolta sia iniziata con la vittoria di Occidentali’s Karma di Francesco Gabbani contro Fiorella Mannoia, arrivata seconda con Che sia benedetta. Il Festival della canzone stava cambiando, una nuova proposta batteva una big assoluta della canzone italiana sulle note di una canzone pop di cui, dopo poco, ci siamo dimenticati tutti. La vera svolta, però, c’è stata nel 2019. La sessantanovesima edizione è stata vinta, grazie al voto della sala stampa e alla giuria d’onore, da Mahmood. Il pubblico, invece, aveva preferito a un giovane con origini non soltanto italiane e dal sound e l’estetica fluidi e innovativi la più rassicurante figura di Ultimo, sostenuto anche da Matteo Salvini che non mancò di sottolineare che il Festival è della canzone italiana. Tra le righe, i più maliziosi hanno letto “degli italiani quelli bianchi”. Fatto sta che Soldi diventerà il brano italiano più ascoltato di sempre. La canzone suonava ovunque, quell’estate mi ritrovai Soldi perfino in una discoteca di Atene. L’anno successivo, invece, arriva a condurre il Festival Amadeus, volto sicuro dei quiz show pre-prime time di Rai 1. Tutti ricordiamo Diletta Leotta e “la bellezza capita, è un peso che può farti inciampare”. Ma arriva anche Tiziano Ferro a dire “non sono sbagliato, nessuno lo è, non accetto speculazioni sul tema”. Per la prima volta, attraverso quest’invito, Amadeus, e quindi il Festival, si schiera dalla parte dei diritti, facendosi megafono di un messaggio progressista di inclusione delle diversità. E no, non è la stessa cosa dei nastrini in favore della legge sulle unioni civili, che era un’iniziativa dei singoli cantanti in gara e non del Festival. 

Sanremo parla, il pubblico risponde. Nel 2021, vincono i Maneskin in tutine trasparenti e trucco sugli occhi, altro che Zitti e buoni. Si inizia a omaggiare dei fiori anche i maschi, dopo che Francesca Michielin e Fedez hanno destrutturato la tradizione iniziando a regalarseli una sera a testa. In questa dialettica artisti-festival-pubblico la direzione appare chiara, l’Italia inizia ad abbracciare e a chiedere progresso in televisione. Arriviamo al 2022, anno in cui, neanche a dirlo, vincono Mahmood e Blanco che si cantano una canzone d’amore sul palco, in prima serata, guardati da una buona metà d’Italia. Questa volta, è il pubblico a votare Mahmood, lo stesso pubblico per cui non avrebbe dovuto vincere nel 2019. E, intanto, lo share comincia a risalire, raggiungendo livelli che non si vedevano dal 1990

Tornando al 2023, oltre al ritorno di Paola e Chiara, ripercorriamo i principali eventi non musicali: il discorso in difesa della Costituzione di Benigni, Fedez che strappa la foto di un viceministro vestito da nazista, le parole di Chiara Ferragni sull’empowering femminile e in difesa del diritto all’aborto sicuro, il monologo di Francesca Fagnani sulla (mancante) finalità rieducativa delle carceri, la difesa delle donne non madri di Chiara Francini, Fedez e J-Ax che gridano “legalizzala”, Rosa Chemical e il suo limone con Fedez. Al di là del protagonismo dei Ferragnez, mai come quest’anno il messaggio è stato ancora una volta progresso, progresso, progresso. L’ultima sera, durante una diretta Instagram sul palco del Festival (progresso!), Fiorello dice ad Amadeus “domani i dirigenti andranno tutti a casa, però è stupendo!”. Una battuta che non sa di scherzo nell’Italia della destra-centro, in cui questo Sanremo è sembrato l’ultimo consapevole baluardo di promozione dei diritti civili.