Matteo Di Ciommo ama plasmare le idee con le mani e costruire i suoi oggetti. Un istinto creativo primitivo ed inestimabile che lo conduce alla produzione di un design con un’anima che ha il suo peso specifico.

Matteo Di Ciommo a 21 anni lascia Roma alla volta di Milano. Un percorso prezioso che lo conduce da Faccin prima e da De Lucchi in seguito, dove ora gestisce il laboratorio che ha sempre sognato fin da bambino.

I progetti di Matteo Di Ciommo sono risultato di estrema sensibilità e riflessione. Uno studio semantico di senso e di significato, una ricerca empatica ed intellettuale, di profonda osservazione della realtà e, infine, di altrettanto profonda consapevolezza. Matteo Di Ciommo offre un design caratterizzato da una sua intima cifra, un suo personale slancio vitale, imprescindibile dal fascino quotidiano e complesso della vita.

Tempi e sarcofagi - Ph. Manuel Blardone
Tempi e sarcofagi - Ph. Manuel Blardone
Templi e sarcofagi - Ph. Manuel Blardone
Templi e sarcofagi - Ph. Manuel Blardone
Specchi infranti - Ph. Aziza Vasco
Specchi infranti - Ph. Aziza Vasco
Stando così le cose - Ph. Aziza Vasco
Stando così le cose - Ph. Aziza Vasco
Templi e sarcofagi - Ph.Manuel Blardone
Templi e sarcofagi - Ph.Manuel Blardone
Vivere per sopravvivere - Ph. Matteo Di Ciommo
Vivere per sopravvivere - Ph. Matteo Di Ciommo

Matteo, qual è la tua storia, il tuo percorso creativo? Come hai capito quale fosse la tua strada e cosa ti ha condotto fin qui, a oggi?

Sono nato e vissuto a Roma per 21 anni, poi dopo la laurea ho deciso di venire a Milano, dove mi sono specializzato in quel che fu design del prodotto. Cinque anni fa ho cominciato a collaborare con Michele De Lucchi grazie a Francesco Faccin. Ho sempre amoto lavorare con le mani e costruire oggetti, ma non è stato facile nè immediato, non è facile per chi come me vuole costruire fisicamente il proprio oggetto trovare spazi in cui poterlo fare. Il laboratorio di Michele De Lucchi mi ha permesso di poter imparare ad educare le mie mani da progettista e non da semplice artigiano. E un percorso affascinante, affatto semplice, lungo e solitario, composto da un attento lavorio critico e lento affinamento di moltissime capacità complementari, fisiche, mentali, tecniche e progettuali. Sin da piccolo la mia camera era un piccolo laboratorio e adesso che ne gestisco uno da De Lucchi e uno mio personale mi rendo conto che era probabilmente l’unica cosa che potessi fare nella mia vita.

Cosa significa per te progettare?

Il progetto è una parola-valigia con una quantità pressoché infinita di significati . A me non interessa l’attenzione maniacale al dettaglio di un‘oggetto, questo è quel che era una volta e che adesso rappresenta una piccola nicchia del suo significato. Per me deve essere una cosa molto più semplice, deve essere un atto con il quale le persone possano prendere consapevolezza del mondo circostante in maniera non scientifica ma più empatica. Vuol dire creare un feeling profondo con le cose, sia dal punto di vista del pensiero che dal punto di vista sensibile. Attraverso il progetto si dovrebbe educare la sensibilità di una persona, stimolandone immaginazione e meraviglia, potentissime capacità per la conoscenza della realtà e riconoscenza del suo inestimabile valore. In poche parole il progetto non è più un atto di guerra, ma un profondo atto di riconoscenza verso ciò con cui viviamo. Ci penso continuamente a cosa sia il progetto e cosa può fare, è un eterno work in progress intellettuale però si, ci credo se affermo che il progetto è educare la meraviglia come primaria sensazione delle cose circostanti, prima curiosità verso ciò che ci sta di fronte. Il progetto non è una risposta ad un bisogno di un utente e non è un oggetto che chiede di essere bello per vendere di più, il progetto è una necessità intellettuale delle persone di affinare il loro pensiero critico nei confronti di ciò che stiamo vivendo, non è una risposta, è una domanda, una volontà di scoperta.

Emozione, progetto, idea, messaggio, materia, tecnica. Qual è l’ordine di importanza di questi elementi nel tuo percorso progettuale e come nascono le tue opere?

La realtà è il mio committente. Da lì che nasce tutto, dalla gioia di viverla. La realtà mi stimola infinite sensazioni che partono dal vivere un mondo che mi si oppone, esistente di fronte a me; la realtà mi tocca e quindi mi parla.
Anche alla materia e alla tecnica sono affezionatissimo perchè sono fondamentali per far parlare ad una forma un determinato linguaggio, entrambe vanno capite, studiate attentamente e con discrezione. Bisogna agire nel loro rispetto perchè ciò che si fà con loro lo si fà non attraverso, ma assieme a loro, altrimenti il significato formale sarebbe solo simbolico, applicato come un etichetta. Il risultato di una forma se vuole esistere come linguaggio è un accordo armonico tra vincolo oggettuale e volontà artistica.
Appena uno dei due prevale si stona in romanticismo o amatorialità.  Le mie opere nascono se e quando un’aspetto del reale ha bisogno di una narrazione. Solo a questo punto entra il progettista, per tessere la trama nel modo giusto affinchè il racconto sia corretto, scritto bene, nel rispetto dei vari elementi che convergono nella storia  ma che da soli non diventerebbero racconto, ma si fermerebbero ad elenco o semplici appunti.

Qual è il valore di un oggetto?

Un oggetto per me ha valore quando assume l’entità di cosa. Molti fattori possono determinare questo passaggio, ciascuno di noi si affeziona agli oggetti in modo assolutamente personale, non ci può essere un criterio di giudizio univoco. Posso affermare che la cosa è narrazione ( e non descrizione), ma senza un nostro sforzo rimane muta. C’è un detto anonimo che afferma “L’opera d’arte parla da sola, se ha con chi farlo”;  ecco io penso assolutamente questo, ma cambio volentierissimo opera d’arte con cosa, che poi forse sono lo stesso, ma non ci facciamo caso. Per questo dobbiamo affinare la nostra sensibilità, perchè è solo attraverso di essa che possiamo capire il linguaggio tacito di una „cosa“.

Come vedi la figura dell’artigiano oggi, quali le difficoltà, quali le risorse preziose di questa figura in un mondo automatizzato?

Premetto che io non sono un artigiano di formazione, ma un progettista. In ogni caso il mio lavoro è sicuramente artigianale. Quello che mi interessa del lavoro artigianale è la possibilità di sperimentare liberamente. Sono libero di pormi domande che l’industria non potrebbe mai porsi. Personalmente ritengo il lavoro artigianale incredibile, ti fa capire tantissime cose importantissime per la vita in generale, come il valore del tempo, l’aver cura di cosa hai e di cosa stai facendo, la ponderatezza della giusta misura e ancora molto altro. Per il resto è dalla rivoluzione industriale che si narra della scomparsa degli artigiani, ma fortunatamente non è successo e non succederà mai. Di laboratori ce ne sono sempre meno questo si, perchè sono spazi in cui prima di produrre qualcosa si impara tanto di se stessi e del mondo, in silenzio e in solitudine. Sono posti in cui si ascolta e non si parla. Sono anacronismo puro, troppo sani,troppo calmi, mansueti e faticosi; io li trovo meravigliosi.

Quanta poesia e quanta sostanza nel progetto? L’una esclude l’altra?

Poesia è una parola pericolosa da usare e che mi intimorisce molto. Posso onestamente dire che nel progetto ovvero nel progettare-cose si deve sempre essere sinceri. E da questo primo atto di fiducia in ciò che è vero che parte tutto, credere che da qualche parte ci sia il vero e cercare in tutti i modi di avvicinarcisi. Ma questo vale per tutto, se non si crede che da qualche parte introvabile esistano i valori in cui crediamo e che dobbiamo cercare in tutti i modi di arrivarci, ma come si farebbe a vivere? E quando si cerca questa sincerità e la si lascia parlare ciascuna parte di cui è composto un progetto sta nel posto in cui deve stare narrando ciò che può narrare nel modo in cui può farlo, come se suonasse in un orchestra perfettamente a tempo e in totale armonia senza direttore. Un buon progetto è tale se ha la sincerità di essere un meraviglioso fallimento.

La poetica dell’oggetto è una costante riflessione nel tuo lavoro, che si rispecchia in esperimenti, rappresentazioni e produzioni. Quanto raccontano di te le tue creazioni, quanto di un momento, di una riflessione lampante? E quali sono i tuoi luoghi di riflessione, le vie, la quotidianità, o le stanze intime, di studio?

Ogni progetto, per essere degno di questo nome, deve raccontare una storia che abbia il senso di esistere all’interno di una collettività. Per avere senso questa storia dovrebbe condividere la possibilità  di vivere meglio senza dare fastidio agli altri, uomini, animali, oggetti e via dicendo. Questo è ciò che cerco con il mio lavoro. Cercare di capire qualcosa di più del mondo e di noi stessi per poter vivere tutti meglio. Certamente lo faccio attraverso le cose, perchè sono un progettista e non un medico o un avvocato quindi il mondo delle forme e della materia è il mio linguaggio.
Non voglio minimamente che le mie cose parlino di me, ma vorrei che raccontassero una storia che mostri qualcosa di buono alle persone, come se gli stessi dando un seme in mano e trasmettergli la volontà di averne cura per poterlo far crescere.
Per quanto riguarda il percorso creativo che porta alle mie cose, tutto è estremamente lento e riflessivo. Tutto nasce dalla volontà di condividere una sana meraviglia verso qualcosa che ho osservato e che mi ha colpito. Per questo cammino moltissimo, rimanendo volentieri incantato da qualsiasi cosa. Quando non posso camminare leggo, che è nient’altro che un camminare con gli occhi. Se poi dovessi dire un posto in cui covare queste sensazioni e farle crescere in un lavoro direi con certezza il laboratorio.

Templi e Sarcofagi: un tuo recente progetto, nato da un pensiero urgente, l’importanza della meraviglia, nella semplicità. Come nasce questa riflessione e come sei riuscito a riportarla in oggetto?

Hai usato una parola precisa nella domanda che condivido: “urgente“.
Qui si parla di andare a vivere su altri pianeti e questo succederà sicuramente, ma domani ci sveglieremo tutti nello stesso posto in cui ci siamo addormentati. Invece sembra che quel che viviamo sia già passato, non sia nemmeno più superficiale, ma inesistente. Abbiamo perso la percezione della profondità di ciò che viviamo. Templi e sarcofagi vuole essere un richiamo a percepire l’estrema vitalità di ciò che è semplice, ogni giorno con le sue piccole ma pungenti meraviglie che sono sotto il nostro naso, nelle nostre tasche o scatole a cui per abitudine non diamo più attenzione. Templi e sarcofagi non sono altro che svuota tasche perchè quest’oggetto, chiamato con un nome bruttissimo, è invece reale custode di quegli oggetti che investiamo nel giorno, perchè l’oggetto che si usa è una presunzione umana, noi lo investiamo per vivere con noi la nostra vita, assieme, noi e loro. E questo non è altro che un rituale, una norma tacita, non è semplice prassi anzi, è un atto di fiducia immensa verso una cosa che ci accompagna e ci aiuta a vivere ogni giorno con la stessa dedizione.

Cosa consiglieresti a chi, come te, decide di dedicare la propria vita alla sua passione e alle sue idee?

Io mi limiterei a ripetergli gli ultimi versi di una magistrale poesia di Ripellinoche recita così : scegliere le umili melodie senza strepiti e spari, scendere verso l’autunno e non stancarsi d’amare”.
Ecco, questo sostanzialmente gli direi, di non smettere d’amare ciò che fà ovunque si andrà a finire.