Dal 21 al 24 ottobre, lo studio Cappelli Identity Design ha ospitato nel cuore della Capitale Lorenzo Fanton, il designer dello studio di brand design più conosciuto al mondo: Pentagram. Ne abbiamo approfittato per incontrare queste due menti creative e parlare di design, arte e progetti futuri.

Nel pomeriggio di giovedì 24 ottobre, il designer di Pentagram è stato protagonista dell’esclusivo format ContamiNation – un progetto Cappelli Identity Design dedicato allo sviluppo di una cultura del design e piattaforma di sperimentazione creativa. Un inizio esplosivo con Lorenzo Fanton, che rappresenta l’Italia nella Grande Mela.  

Iniziamo con Emanuele Cappelli: ContaminNation è il nome del suo progetto più recente: un gioco di parole che unisce il concetto di contaminazione a quello di nazione. Come nasce e perché? E quali sono le prospettive a breve e lungo termine di questo progetto?

ContamiNation è un’idea che si è auto alimentata nel tempo soprattutto grazie alla condivisione con gli altri artisti dello studio Cappelli Design. Una parte fondamentale di ContamiNation è anche la cooperazione con paesi in via di sviluppo: il progetto mette a disposizione due borse di studio finanziate dalla Cappelli Design, una indirizzata verso Cuba e una verso il Burkina Faso. Ecco da dove nasce la nostra idea di creatività: dalla materia grezza che può essere rintracciata solo quando si trapassano gli schemi a cui siamo abituati, e si cerca la bellezza in purezza. Raw, come un blocco di marmo che deve essere ancora scolpito. In questo senso non servono i trend, non serve il mercato: ciò che ci determina è la verità. In un passaggio dalla condivisione del sapere alla condivisione dell’avere. 

Quali sono le prospettive a breve e lungo termine di questo progetto?

Il progetto è coerente a partire dal luogo scelto: lo studio Cappelli Identity Design favorisce proprio la contaminazione tra design, arte e le altre realtà. Il nostro progetto sta anche per espandersi in questo senso: abbiamo in programma di costruire una residenza d’artista, per dare la possibilità a creativi di tutto il mondo di vivere all’interno del nostro studio.

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In questo senso, che tipo di prospettive vedi partendo dal contesto – spesso impervio – della Capitale? Hai notato dell’hummus su cui lavorare?

C’è tanto terreno fertile su cui lavorare. Roma è una città alla quale bellezza ormai i nostri occhi (da abitanti) si sono abituati. In realtà vivere a Roma ci permette di sviluppare un gusto estetico e di abituare lo sguardo all’eccellenza della bellezza. Come possiamo non intravedere un potenziale? Sicuramente ci sono dei limiti a livello professionale. Uno di questi è la mancanza di condivisione. Lavoro tantissimo con gli studenti, questo è il diciassettesimo anno che insegno all’università: i giovani portano una linfa straordinaria. I confini geografici stanno cadendo, e il futuro di Roma è un futuro roseo.

Passiamo al designer dello studio più famoso del mondo, Pentagram New York. Lorenzo Fanton: qual è la differenza tra Roma e New York?

La differenza tra New York e Roma non è rintracciabile tanto a livello personale, quanto a livello di ambiente: a New York sei un ingranaggio che fa parte di una ruota che gira.

Parliamo di Pentagram: all’interno dello studio siete ventiquattro Partners. Come gestite un processo creativo di ventiquattro mondi che si intersecano? Dove rintracciate la vostra identità?

Anche in questo caso è una cooperazione. È necessario non cercare di essere sempre all’avanguardia. Serve sempre fare un passo indietro. Sono ventiquattro teste diverse: la cosa affascinante è proprio questa. Non c’è una visione unica ma ventiquattro: e quindi il processo creativo univoco esce fuori in maniera organica.

Lorenzo Fanton, quali sono i tuoi consigli per i designer di domani?

Se dovessi parlare ad un Lorenzo ancora giovanissimo, gli direi di avere un senso di awareness, di consapevolezza. Tenere gli occhi sempre aperti e guardarsi intorno. Il luogo in cui ti trovi è fondamentale: se intorno a te non c’è quello di cui hai bisogno per crescere, viaggia. Cerca quello che non ti offrono.

E invece tu Emanuele, sono tanti anni che insegni, cosa ne pensi?

Ho insegnato anni alla Sapienza e ora insegno in Rufa: quello che cerchiamo di dare è una preparazione piena, che riesce a mediare l’aspetto metodologico a quello esecutivo realizzativo. Ho insegnato anche in Spagna, dove il focus invece è sull’aspetto esecutivo. Ho avuto a che fare con l’università di Birmingham, dove si lavora solo sull’aspetto metodologico. C’è uno sbilanciamento sull’uno o sull’altro. La preparazione che abbiamo in Italia, con tutte le problematiche importanti che abbiamo, è comunque più completa.