Fotografia. Parlare di fotografia no, non è affatto semplice. È un’arte di cui non si può parlare, benché si mostra differentemente agli occhi di un qualunque spettatore. Il fotografo guarda la realtà e non documenta, non è certo quello il suo obiettivo. È l’occhio che decide, non la macchina fotografica. Egli non intende registrare l’esistente ma l’essenza dell’esistente. Ogni attimo è fuggente, ma non decisivo, e il decisivo è soggettivo all’emozione del momento. Alessandra Egidi, protagonista dell’ All In Festival di Roma e giovanissimo talento, si presenta oggi al foyer del Teatro dell’ Orologio, fino al 29 maggio, con la mostra “FLUX”. Una non qualunque mostra fotografica assolutamente da non perdere. Scopriamo qualcosa in più in questa intervista, assolutamente esclusiva!

Cosa ha portato Alessandra Egidi ad avvicinarsi al mondo della fotografia? Ci racconti in pillole la sua esperienza formativa e professionale.

Il mio avvicinamento alla fotografia avviene già da piccolissima e la fonte d’ispirazione maggiore fu mio padre e il suo mestiere. Lavorando nella Scientifica si occupava di casi legati a delitti e attentati, testimoniati da numerosi scatti che custodiva segretamente. L’impossibilità di vederli, mi incuriosiva e affascinava a tal punto da provare una sorta di gelosia nei confronti di quello strumento che usava costantemente.
Nell’adolescenza arrivò la mia prima macchina fotografica digitale,una Canon 1000d e in seguito una 550d che utilizzo tuttora per scattare i miei progetti.
Parliamo di avvicinamento totale al mondo della fotografia nel periodo successivo alla maturità:incominciai a utilizzarla non più per catturare eventi a me cari, ma per esprimere gli altalenanti stati d’animo che avevo.
Così decisi di iscrivermi a diversi siti come Flickr e allo stesso tempo iniziai ad interessarmi ai programmi di post-produzione digitale.
Mi appassionai a tal punto da iscrivermi alla Scuola Romana Di Fotografia e iniziare nel 2012 il mio percorso di studi.
All’inizio del mio percorso scattavo foto singole senza una connessione ben precisa tra loro per puro
esercizio personale. In seguito un’emotività differente, un ordine e un’idea
ben precisa di cosa volessi comunicare hanno cominciato a caratterizzare i miei progetti, legati sempre a un tema.

Dal 27 al 29 maggio sarai in mostra al Teatro dell’Orologio con Flux. Flux è un prodotto fotografico animato, contaminato e legato alla musica.

Da quale spinta nasce la voglia di legare queste due arti?

La voglia di legare queste due arti nasce dal fatto che la musica e la fotografia nella mia vita sono due costanti:le considero due arti in grado di catturarmi emotivamente.
Scatto e nello stesso tempo suono la batteria.
Amo la musica come amo la fotografia, tanto da porle entrambe sullo stesso piano.
Flux nasce da uno dei miei soliti trip musicali e per trip intendo lunghi periodi di tempo passati ad ascoltare sempre lo stesso gruppo, non per monotonia ma per necessità..una necessità richiesta in quel momento dal mio stato d’animo.
Ciò che vedevo era il riflesso di ciò che ascoltavo..e questo rapporto inscindibile ha dato vita a FLUX.

Flux è anche un prodotto che si dimena nella natura più pura e incontaminata che nasconde le insidie, l’errore di un sistema, svelando il punto di vista dell’artista.

Che rapporto ha Alessandra con questa Madre Natura? E qual è questo errore?

Nel giro di un anno, programmo sempre viaggi solitari di uno o due giorni per andare in Abruzzo a Campo Imperatore.
E’ un luogo a cui sono particolarmente affezionata, probabilmente perché lo utilizzo come rifugio per scappare dai periodi di stress mentale e dal caos della città. Mi emoziona sempre andarci..lo reputo un posto magico e l’errore di cui parlo è la paura che luoghi del genere prima o poi vengano modificati
dall’intervento dell’uomo. Nei miei scatti è come se questa previsione sia già in atto.

Quale il messaggio che vorrebbe dare al suo spettatore e quanto di personale ha investito in questa mostra?

Inizio col dire che questo è un progetto che mi ha catturata totalmente, tanto da prestare un’attenzione quasi ossessiva per:la post-produzione, per la carta su cui stampare e per i supporti in cui incorniciare il mio lavoro.
La cura data alla post-produzione è stata fondamentale per la resa finale e per il mix di emozioni che volevo far provare allo spettatore di fronte a FLUX: inquietudine,mistero e impotenza nei confronti di un paesaggio così insidioso e vasto.

The Walkman Magazine ha come obiettivo quello di mettere in luce i talenti emergenti italiani. Quali sono i tuoi progetti futuri, e quali sono i consigli per chi come te volesse intraprendere questa strada?

Un consiglio che mi sento di dare a chi volesse intraprendere questa strada è di non lasciarsi MAI scoraggiare da chi ti dice di lasciar perdere, perché è una passione momentanea e perché al giorno d’oggi ormai tutti sono fotografi.
Quindi perché cimentarsi in qualcosa che già tanti fanno?!
Fregatevene di commenti del genere..solo ”voi” sapete quello che potete e volete comunicare attraverso la fotografia.
Di fotografi ce ne sono tanti, ma ognuno di noi fortunatamente ha una propria forma di espressione.
Siamo privati già di tante libertà..non fatevi portare via anche questa!
Ad ogni modo pensare al futuro mi spaventa;quello che so per certo è che continuerò a portare avanti progetti di ricerca personale e cercherò di sperimentare sempre cose nuove.