Una moderna favola jazz  – Giulia Schiavon è una giovane cineasta italiana. Amante del cinema sin da bambina, ha iniziato a realizzare il suo sogno, esordendo come regista (e protagonista) di un leggero cortometraggio.

Nell’atmosfera stimolante di Dominio Pubblico ritroviamo, infatti,  il suo primo lavoro: Una Moderna Favola Jazz, divertente storia d’amore che invita il pubblico a riflettere sull’incertezza degli eventi quotidiani.

TWM ha voluto intervistare Giulia per l’occasione: ne è emersa una regista sognatrice, sincera e con tanta voglia di contribuire alla “nuova vita” del cinema italiano.

 
Ne “Una Moderna Favola Jazz” la protagonista confessa al suo principe azzurro che per lei “il cinema è meglio della vita”. Come è nata la tua passione per il cinema e cosa ti ha ispirato nella scelta di sposare l’affascinante mondo della finzione?
La mia passione per il cinema è nata quando ero molto piccola. Ho sempre guardato una quantità imbarazzante di film. C’è stato un periodo nella mia vita in cui credo di aver guardato, non scherzo, una cosa come cinque film al giorno. Non avevo un gusto specifico, li guardavo tutti, di tutti i generi. Poi con il tempo ho iniziato a prediligere tutti quei registi che sentivo più vicini a me: Godard, Ostlund, Lynch, Vinterberg e il mitico Woody Allen da cui traggo sempre ispirazione, anche nella vita di tutti i giorni. Da piccola guardare un film mi sembrava una magia, qualcosa di ‘non umano’. Ecco perché sono sempre stata attratta da quest’arte, volevo essere parte di quella magia.

 
Il tuo corto, oltre a raccontare una spiritosa vicenda romantica, invita all’interessante riflessione sull’analogia tra l’imprevedibilità della musica jazz e quella della vita. Qual è il tuo rapporto con i ritmi e gli imprevisti a cui siamo sottoposti giorno dopo giorno?
Gli imprevisti hanno sempre fatto parte della mia vita. Se chiedete ai miei amici di raccontarvi qualcosa sul mio conto troveranno qualcosa di bizzarro da dire, perché ne ho tante di storie buffe. Sono goffa, sbadata, esattamente come mi si vede nel corto. Poi in questa storia un po’ sopra le righe ho palesemente esagerato questo mio atteggiamento e modo di prendere la vita. L’imprevedibilità è un regalo che non ti aspetti, un messaggio da una persona speciale, un brutto voto all’esame nonostante la fatica nel prepararlo. E’ banale dirlo, ma è così: l’imprevedibilità ti da un qualche brivido alla fine, è questo quello che conta, sia che porti cose buone, sia che ne porti di cattive.
“Una Moderna Favola Jazz” ha esordito al Sapienza Short Film Fest e dopo poco tempo lo ritroviamo nel programma di Dominio Pubblico, un ottimo risultato per una regista Under 25. Quali consigli daresti ai ragazzi che come te vogliono intraprendere la strada della cinematografia?
Grazie intanto a Dominio Pubblico che ha deciso di portare il mio corto in uno spazio giovane e bello come il Teatro India. Non penso di poter dare consigli a qualcun altro, “Una moderna favola jazz” è stato il mio primo lavoro. Sento che la strada è appena iniziata e probabilmente le cose che realizzerò in futuro saranno anche molto diverse da questo cortometraggio. Posso raccontare però la mia esperienza e sperare che altri ragazzi, esattamente come me, abbiano il coraggio di esprimere loro stessi. E’ questo che fa la differenza. Per me è inutile rappresentare qualcosa di troppo lontano da noi stessi, non si può compiacere il pubblico o esaltare un tipo di cinema solo perché “fa figo”. Forse bisognerebbe mostrare l’essenza di chi siamo, la nostra sensibilità attraverso un’estetica che più ci rappresenta.

 
La qualità del cinema italiano è riconosciuta in tutto il mondo eppure molti preferiscono studiare all’estero. Quali pensi siano le ragioni dietro questa scelta: c’è davvero differenza tra fare cinema in Italia piuttosto che nel resto del mondo?
Questa domanda fa riferimento a quello che dicevo prima. Molto spesso i ragazzi della mia età si esaltano per qualcosa che “fa figo”, e nell’immaginario collettivo, non so bene il perché, è sempre stato qualcosa che si trovava all’estero. Il cinema italiano ha detto e ha ancora così tanto da dire che mi rattrista pensare che tutti gli aspiranti cineasti sperino di potersene andare dall’Italia. Credo che vada bene fare esperienza in un altro Paese, ma è bello poter pensare di restare, di sfruttare tutto quello che di buono c’è qui. Se fate un giro su una qualsiasi piattaforma web dedicata al videomaking come Vimeo, vi renderete conto subito di questa voglia di essere internazionale che hanno i ragazzi italiani: o girano direttamente in inglese, oppure imitano il cinema straniero. Noi italiani vantiamo di un genere da cui tutti per forza vogliono uscire. Il neorealismo o il cinema-verità che ha sempre riempito le sale italiane ha stancato il pubblico e chi il cinema vuole farlo, e per questo forse dagli anni ’80 sentiamo dire “il cinema italiano è morto”. Non è morto, ha avuto vita nuova grazie a chi lo sta rendendo moderno senza imitazioni. Parlo ad esempio di “Non essere cattivo” o “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Inoltre noi italiani sì, facciamo un cinema diverso da come lo fanno negli altri Paesi. E’ un cinema più passionale, più vero nella sua sensibilità artistica. Direi che il nostro cinema ci rappresenti in tutto e per tutto.