Todd Hido è un fotografo statunitense che guarda costantemente a ciò che è familiare, realizzando delle fotografie che parlano dell’America in cui è cresciuto.

Todd Hido nasce in Ohio, nel 1968, ma studia in California, dalle sponde del Lago Eire cambia totalmente lato del paese e si stabilisce nella West Coast, e proprio qui, guidando di notte, rimane colpito dalle case del suo vicinato, così decide di fotografarle, iniziando a definire un’estetica molto riconoscibile che lo accompagna ancora oggi.
Sarebbe interessante sapere se la distanza dal luogo di nascita abbia influenzato la sua ricerca, per sua stessa ammissione ancora attuale, di soggetti e sensazioni che potesse riconoscere come familiari. Non sembra un caso che inizi fotografando delle abitazioni, che saranno, nel 2001, le protagoniste del suo primo lavoro House hunting.

Continuando la sua ricerca fotografica, Todd Hido approccia anche altri tipi di soggetti, ma mantenendo sempre un’estetica ben definita. Fotografa principalmente nudi e paesaggi, oltre alle case, ma il suo lavoro non sembra mai diviso per generi fotografici; la sua raccolta più conosciuta, Intimate distance, raccoglie indistintamente corpi nudi, interni o rappresentazioni della tipica periferia americana. Sembra quindi che la sua non sia una fotografia che debba essere classificata in base al genere fotografico, e quindi in base ai soggetti. Il centro della sua fotografia non sono i soggetti, ma le sensazioni che questi restituiscono, all’interno di una narrazione che accomuna tutte le sue fotografie, e che crea infinite possibilità agli occhi di chi ne fruisce.


“Intimate distance” non è facilmente traducibile in italiano, ma questo è uno di quei casi in cui il linguaggio delle immagini sa spiegarsi molto meglio del linguaggio delle parole. Guardando le fotografie di Todd Hido si percepisce sempre uno strano rapporto con il volto o il luogo rappresentato, sembra tanto di non riconoscere quella situazione quanto di sentirla in qualche modo vicina e riconoscibile, come se lo straniamento prodotto dalle sue fotografie fosse in grado di avvicinare l’osservatore più che di respingerlo. Hido chiede un lavoro al suo osservatore, un lavoro naturale ed inconscio, che spiega bene lui stesso in uno degli scritti che si trova all’interno di Intimate distance:

Si può svuotare un’immagine? Di quanto poco ha bisogno una fotografia? Un viaggio su strada può essere disegnato con poco più di un orizzonte e un palo del telefono. L’anomia della periferia è tutta nella tavolozza dei colori di un opuscolo immobiliare bagnato dalla luce di una lampada al sodio. Una porta con un numero – 216 – è una stanza di motel sconosciuta, assegnata a caso. Una giovane donna in una stanza del genere è sufficiente per segnalare speranza, paura, perdita o desiderio. Riempi le lacune come preferisci; forse il tuo inconscio l’ha già fatto.”