Spazi piatti, statici, senza sfumature, senza ombre. Linee dure e precise che delimitano l’ oggetto. Colore, tanto colore, acceso, ammiccante , in contrasto con altro colore, a sua volta ancora più deciso. Una punta di matita che segue un disegno chiaro e forse un po’ naif, che narra una storia, molto spesso educatamente ironica, capace di sorprendere un pubblico sia giovane che adulto.  Stiamo parlando, indiscutibilmente di Olimpia Zagnoli, illustratrice che vanta, nonostante la giovane età (nasce nel 1984), collaborazioni con il New Yorker, la Harvard Business Review, Internazionale, Repubblica, il New York Times, Rolling Stones, Vice, la Yale University, riguardo svariati progetti. OZ , altro modo con cui si firma, non ha paura di cimentarsi in altri campi, è un’ artista a tutto tondo, non solo illustratrice di libri e riviste, ma anche regista di video musicali, e ideatrice di icone e grafica per l’app del New York Times su New York. Dietro un così grande talento non può che esserci una personalità sicuramente stravagante, curiosa, ed unica, e noi ci apprestiamo a conoscerla ancora di più con questa intervista che ci ha rilasciato.

Ho letto la tua bio. Scrivi di te in terza persona e usi il maschile. OZ  diventa un  marchio, OZ è un illustratore. Come mai questa scelta, cosa c’è dietro la persona di Olimpia Zagnoli? Come nasce la tua passione da illustratrice?

“Non uso il maschile, “illustrator” è sia femminile che maschile. OZ sono semplicemente le miei iniziali. Mi piace usarle perché stanno bene insieme e perché naturalmente evocano una storia che molti conoscono. Nonostante questo, il mio nome completo rimane Olimpia Zagnoli ed è con questo che firmo i miei lavori. Sono diventata illustratrice perché mi è sempre piaciuto molto disegnare e ho pensato che potesse diventare una professione. Mi sono impegnata in questo senso e ci sono riuscita.”

Provieni da una famiglia di artisti: quanto ti hanno influenzata i tuoi genitori nella scelta della tuo percorso?

“I miei genitori mi hanno dato gli strumenti per potermi creare una cultura visiva personale. Da piccola guardavo i loro libri, andavo alle mostre con loro e li osservavo mentre lavoravano. Mi hanno insegnato che se ci si impegna e si è estremamente determinati, si può ottenere quello che si vuole. Questo insegnamento mi ha aiutata a non scoraggiarmi e a credere in quello che stavo facendo”.

Le tue illustrazioni colpiscono subito l’occhio dell’ osservatore. Icone definite, forme semplici ma  particolari, oggetti raccolti dentro il colore. Il colore che è il protagonista assoluto dell’immagine. Ecco, quanto conta per te l’ uso del colore? Ha un significato particolare?

“Il colore conta molto. Mi piace fare accostamenti strani che ad un primo sguardo possono sembrare vagamente stridenti. Mi ricorda la sensazione che avevo da piccola guardando le presine di mia nonna. I colori sembravano quasi sempre sbagliati, ma sono proprio quelli che mi sono rimasti più impressi e che riportano subito la memoria a quei tempi.”

Come nascono le tue opere? Improvvisazione o vi è uno studio o una riflessione dietro?  Esiste una musa che suggerisce il percorso da seguire?

“La musa è la curiosità unita alla disciplina. Da un’idea astratta parte la prima scintilla che poi viene riportata su carta e sviluppata a computer.”

Nel campo della storia dell’arte tradizionale, ti ispiri a qualche artista in particolare?

“Mi piacciono molto le pitture egizie, Matisse, Calder, la folk art, Picasso, i mosaici bizantini e le rappresentazioni di San Sebastiano”.

Molte sono le tue collaborazioni con grandi testate, sia nazionali che internazionali. Se posso permettermi, quale di queste ti hanno dato più soddisfazione a livello professionale?

 “Mi piace molto lavorare con il New York Times e con La Repubblica perchè mi lasciano libera di interpretare un tema a mio piacimento. Questo mi sta facendo crescere molto e apprezzo il fatto che si fidino di me.”

Molti i premi da ricevuti: c’è n’è uno  a cui tieni in particolar modo?

“No. Mi piacerebbe fare una grandissima mostra al Guggenheim, ma forse è ancora presto.”

 Personalmente sono molto attratta dalla tua dedizione verso il ludico  universo de bambini. Illustratrice anche di libri adatti a loro. Cosa ti ha spinta ad operare verso questo mondo?

“I bambini sono creature bizzarre. Mi interessa il loro punto di vista sulla vita. Fare un libro per bambini è come creare un ponte di dialogo tra me e loro”.

Uno sguardo verso il futuro: hai in cantiere nuovi progetti?

In questo momento sta collaborando con il padre, Milo Zagnoli, nella creazione di oggetti, piatti in porcellana e stampe. Opere colorate e divertenti che giocano e sembrano squisitamente leggere, ma che non sono vuote. Come definisce lei in altre interviste si tratta di quella “gravità senza peso,una speciale connessione tra melanconia e umorismo”.

The WalkMan” si pone come obiettivo quello di lasciare spazio e visibilità ai giovani talenti come te. Cosa ti senti di suggerire a chi ha deciso o sta decidendo di investire la propria vita nella creatività?

“Siate seri”