Pakkio Sans è un groviglio di emozioni complementari, una figura quasi immaginifica che si racconta attraverso la narrazione dei suoi suoni fatti di melodie e bassi profondi, vocal distorti e groove irregolari.

Pakkio Sans è la figura attraverso cui Carlo Pacioni racconta le immagini della sua mente e le trasforma in musica. Una figura assimilabile a un risultato caleidoscopico, il quadro musicale di un inconscio artistico che non si pone etichette e limiti.

“Attraversi un momento dove è inevitabile guardarsi allo specchio e capire chi sei realmente e cosa vuoi davvero.
Lavarsi la faccia con l’acqua fredda e guardarsi negli occhi. Pakkio Sans è l’attimo prima di aprire gli occhi quando ti guardi allo specchio con la faccia bagnata […]”.

In occasione dell’uscita prevista per questo 27 marzo del nuovo EP di Pakkio Sans, “Quando Ti Perdi (quanto ti diverti?)” per l’etichetta europea Ogopogo Records, disponibile su Spotify e tutti i digital store, l’intervista dedicata a quel che Carlo Pacioni è oggi, proprio in questo momento:

Chi è e cosa significa Pakkio Sans per Carlo Pacioni? Perché scegliere di rappresentarsi per immagini e perché la scelta di questo nome?
Il nome è venuto da sé, non è stata una scelta ma qualcosa che mi sono trovato addosso ed ho deciso di tenere. Pakkio Sans non ha molto a che fare con la realtà, è la mia protezione di ciò che vedo e sento. Sarà sempre così e sono sicuro che un giorno non ci sarà più, perché non avrà più nulla da dire. Farà spazio ad altro. Ma ora lasciatelo libero di cantare e suonare. Passa dall’essere ironico alla malinconia estrema, si diverte ma sempre con il pensiero che dovrà tornare a casa e guardarsi allo specchio, da qui il suo modo di scoprirsi, come se fosse un riflesso nel riflesso.

Qual è stato il tuo percorso musicale fino ad oggi? E quali le tue influenze?
Un percorso così vario da farmi tanta confusione. Questo perché ascoltavo dal rock, al punk, all’indie, alla new wave. Non riuscivo a trovare un vero e proprio filo conduttore, è stato molto difficile! Alla fine ho cercato di assorbire tutto ciò per creare un’identità, ed è stata la cosa più difficile che potessi fare. Non volevo seguire un vero e proprio stile o genere musicale, volevo seguire un movimento, far parte di qualcosa che desse un’identità al mio carattere, a ciò che ero e sono come persona e non come artista. Ecco perché i miei lavori sono tutti diversi tra di loro, il vero filo che li collega, è la mia personalità.

Cosa ci si deve aspettare dalla tua musica, come la definiresti?
Bella domanda. Me lo chiedo anche io ogni tanto, ma mi rendo sempre più conto che da me ti potresti aspettare qualsiasi cosa, non sono legato ad un vero e proprio genere, ma ad un suono e se ascolti bene tutti i miei lavori, ti rendi conto che alla fine gira e rigira finisco sempre li, finisco li e poi me ne vado, vado da un’altra parte. Non la definirei in un certo senso, mi piace pensare a qualcuno che riesce a portare più vicino a se quello che sente e vede fino a farlo suo.

Quale momento professionale per te ha rappresentato la svolta decisiva nella tua carriera?
Penso sicuramente le ultime produzioni. Ognuna di esse mi ha dato qualcosa, da “We Oppose It” per Selador all’Ep “Sbalzi D’umore” (finito 13esimo nella classifica iTunes). Anche se poi penso che le mie esperienze da giovanissimo siano quelle che mi abbiano aiutato di più. Inconsciamente mi stavano già introducendo in qualcosa che avrebbe fatto parte della mia vita per sempre.

Come nasce il progetto del tuo nuove EP “Quando ti perdi  (Quanto ti diverti?)”?
Inizialmente doveva essere un album di 10 tracce e le 2 tracce di questo Ep, facevano di parte di questo grande progetto. Poi, ho deciso di farle uscire separatamente e di concentrarmi su questi due lavori che mi sembravano i più vicini al mio stato d’animo. Per me è molto importante tramite la musica comunicare come mi sento. Ecco perché fare uscire l’Ep quando Ti Perdi (quanto ti diverti?), io ero esattamente così, perso. Ma ritrovato in qualcosa che mi ha fatto stare bene.

Cosa significa per te perdersi?
Significa esattamente ritrovarsi. Quando ti perdi; tutte le tue paure, emozioni, le sensazioni, sono molto più profonde e permettono di scavare nella propria sensibilità. Ma dal momento in cui riuscirai ad andare oltre, tutto ciò che hai provato, farà parte di qualcosa che ti aiuterà a crescere e ad affrontare certe situazioni in maniera diversa, con più consapevolezza di ciò che sei e di ciò che hai vissuto. Perdermi non mi fa paura, forse mi fa più paura ritrovarmi. Guardarmi allo specchio e fare i conti con chi sono realmente.

Quale consiglio vorresti suggerire a chi, come te, ha deciso di dedicare la propria vita alla musica?
Se avete deciso di dedicare la vita alla musica, allora fatelo fino in fondo. La musica ti da tanto, ma vuole tutto. Tornassi indietro non me ne innamorerei così tanto, da starci dietro giorno e notte, come se fosse un’ossessione.
Rimanete voi stessi, non pensate mai di non riuscire a fare qualcosa, la dedizione e la costanza sono fondamentali quando hai a che fare con qualcosa di così grande. Fondamentalmente mi verrebbe da dire di amare, amare ciò che fate, perché penso sia l’unica cosa che vi farà davvero fare la differenza. L’amore non è da tutti, si percepisce quando qualcuno fa qualcosa con amore.