La bellezza della nuova musica – Un libro scorrevole ma che offre allo stesso tempo spunti di riflessione, con un linguaggio stuzzicante per i musicisti e nel contempo fluido per i non-musicisti.

Mai come durante gli ultimi anni di approfondimento e studi della musica contemporanea mi è capitato di riscontrare tante idee e considerazioni opposte, principalmente da colleghi musicisti. Si intrecciano sguardi sconcertati ai concerti, domande come “come si suona questa musica?” e affermazioni come “Io non la capisco”, come se ci fosse una comune sensazione di allontanamento dalla musica contemporanea, incolpata di non “accogliere l’ascoltatore” e di non stringerlo nel caldo abbraccio di un accordo consonante.

Per fortuna, Emanuele Arciuli ha scritto un libro, non l’unico, La bellezza della nuova musica e la sua lettura è una guida frizzante, spiritosa e totalmente priva di preconcetti che affronta con disinvoltura l’argomento avvolto da un così fitto alone di mistero.

Emanuele Arciuli è un pianista che ha condiviso la sua arte sui palcoscenici di tutto il mondo, dalla Biennale di Venezia alla Saint Petersburg Philharmonic. Nel corso degli anni, ha affrontato l’intero repertorio e dedicandosi in modo particolare a quello contemporaneo. Celebri sono le sue interpretazioni del compositore americano George Crumb, di cui David Bowie tanto amava il suo quartetto d’archi Dark Angels.

Emanuele Arciuli, pianista e autore del libro La bellezza della nuova musica

È importante fare una premessa per intenderci tutti: in musica, viene molto spesso rimandata l’idea di musica del Novecento alla musica contemporanea. Ecco, è importante e naturale precisare che di contemporaneo non è rimasto granché per motivi connessi a reazioni estetiche e concettuali a loro volta legate ad un preciso processo storico. In altre parole, perché sono passati più di 50 anni ormai.

Riprendendo le parole dell’autore, “Ciò che più dispiace è che l’espressione musica contemporanea non significa, come dovrebbe, musica di oggi, ma indica uno stile, o un insieme di stili.”, che lo stesso Arciuli presenta con tanta naturalezza nel corso del libro indagando su ognuno di questi stili, tra cui il l’Avanguardia e il Minimalismo (con tanto di apprezzatissimi QR code per ascoltare i brani e le interpretazioni scelte).  

Nelle prime pagine del libro, Arciuli risponde alla domanda che personalmente mi sono fatta tante volte da amante della musica del ‘900 e quella contemporanea:

cosa è andato storto nel flusso di informazioni che intercorre tra chi compone, chi suona e chi ascolta?

Certo, praticamente la maggior parte delle volte nella storia del mondo è capitato che il valore di un artista venisse riconosciuto col tempo.

Salome durante la prima newyorkese

Anche il compositore tedesco Strauss non l’ha passata liscia quando nel 1907 ha portato l’opera Salome con quelle strane sonorità al Metropolitan Opera di New York, tant’è che un medico si sfogò cosi nelle pagine del New York Times: “Sono un uomo normale che ha dedicato più di vent’anni all’esercizio di una professione che richiede, nel trattamento delle malattie nervose e mentali, una quotidiana frequentazione dei degenerati […]. Posso affermare che Salome è una dettagliata ed esplicita esposizione delle più orribili, disgustose, rivoltanti e innominabili caratteristiche della degenerazione che abbia mai sentito, letto o immaginato..”

Il problema, che già da solo non è affatto trascurabile, non è che l’immaginario comune associa alla musica del ‘900 le parole dissonante, atonale, difficile e incomprensibile. In aggiunta, si sono posizionate le aspettative del pubblico che oggi continua ad aspettarsi quella tipologia di sistema musicale e di sperimentazione quando la musica dei compositori di oggi ha trovato semplicemente un nuovo modo di raccontare la nostra società e poco importa se questo sia atonale o tonale. Di soluzioni ce ne sono e Emanuele Arciuli ne riconosce varie per entrambi i problemi. 

La risposta di Arciuli è chiara e fa tanto pensare anche alla situazione attuale, quella realmente contemporanea.

“Finchè ci si limiterà a incolpare il pubblico di scarsa attenzione, il problema non verrà risoltoe. La verità è che la musica delle Avanguardie storiche ha perso il contatto col pubblico.”

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Facciamo un salto nel post guerra, poco prima della metà del secolo scorso, e chiediamoci quali fossero gli animi delle persone. Scrive Arciuli: “Le ferite di una guerra devastante, segnata dall’esperienza delle bombe atomiche e dell’Olocausto, tanto da far dire a Theodor Adorno che, dopo Auschwitz, non ci potesse essere spazio per la poesia”. 

In quegli anni, nel 1946, la cittadina tedesca di Darmstadt diviene la culla di nuove idee musicali- e non solo- provenienti da brillanti menti e eccelsi compositori come Boulez, Cage, Berio, Nono. Loro, insieme ad altri, hanno organizzato, diversamente e in modi del tutto caratterizzanti, la musica in altre strutture, in sistemi che hanno più a che fare con un discorso concettuale, matematico e intellettuale piuttosto che di immediatezza.

Ecco perché risulta complicato poter apprezzare i dettagli e le influenze che convergono in capolavori come le Sequenze di Berio o Oktophonie di Stockhausen.

Come scrive Arciuli, “Questo provoca un ulteriore spiazzamento, perché il pubblico si attende una rappresentazione teatrale e assiste, talvolta, a una conferenza.” L’invito dell’autore è semplice, creativo e valido: riascoltare, lasciar che la mente possa godere di un linguaggio inaspettato e, soprattutto, lasciarsi sorprendere da ciò che non conosciamo e che inaspettatamente può stuzzicare la nostra curiosità.

E, dunque, che discorso affrontare per la musica contemporanea?

Alex Ross, nel suo Il resto è rumore, ascoltando il XX secolo, conduce un’analisi socio-politica molto chiara che permette di capire che la musica del ‘900 è stata ed ha, a sua volta, estetizzato i sentimenti di rivoluzione appartenenti ad un’epoca.

Alex Ross- Il resto è rumore, ascoltando il XX secolo

Cercare quei canoni oggi o pensare che la musica abbia bisogno di ricorrere al passato o che oggi abbia smesso di raccontare la contemporaneità è rifiutare le strade evolutive che la musica ha intrapreso fin ora.

È questo il motivo per cui non ha senso aspettarsi lo stesso tipo di musica bensì uno senz’altro diverso e necessariamente nuovo che parli alla società di oggi, avvalendosi di un linguaggio sorprendentemente contemporaneo.

Oltre che raccontare di un libro letto tutto d’un fiato, queste parole vogliono muovere la mente e spingerci ad essere curiosi, non solo nella musica, ma in qualsivoglia contesto per andare oltre le informazioni reperibili con un click perché non sempre sono le uniche, né le sole, necessarie ad acquisire una più ampia e profonda visione della realtà.


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