Artisti per formazione e tecnica del tutto differenti, ma dal medesimo potere evocativo: la rappresentazione perfetta e ingannevole della realtà.
DiegoKoi (Lamezia Terme, 1989), iperrealista giovanissimo ma già di fama internazionale; le sue opere sono state esposte in mostre museali al fianco di maestri del calibro di Chuck Close (Corea del Sud, Clayarch Gimhae Museum, 2015).
Lo sconvolgente talento tecnico, la predilezione per la figura umana e l'accurato taglio fotografico sono la base della sua ricerca, che abbraccia il significato concettuale più profondo della riproduzione dell’immagine.
Le opere di DiegoKoi sono una versione in grafite della realtà migliorata e corretta, quindi artificiale e fragile. Il primo istinto dell'osservatore non è la contemplazione, quanto la ricerca ossessiva dell'imperfezione che ne tradisca la provenienza umana.
Juan Eugenio Ochoa (Medellín,1983) la sua pittura è sospesa tra il figurativo e l’astratto, confine messo in discussione dalla sua visione:
“la realtà, senza gli strumenti della ragione, ci apparirebbe tutta astratta”.
L’opera di Ochoa restituisce delle figure sfocate, filtrate, che sono la rappresentazione iperrealista del nostro vissuto fatto di immagini, fotograficamente definite solo nell’istante effimero in cui sono consumate.
A rendere ancor più interessante il suo lavoro è la tecnica: i ritratti leggeri ed evanescenti sono generati non da un meticoloso lavoro di pennello, ma da un lavoro di eliminazione del colore attraverso con una grossa spazzola ruvida ed una gestualità aggressiva.
Considerato dalla critica uno dei più interessanti interpreti della pittura contemporanea, si è aggiudicato prestigiosi premi dedicati a questa disciplina. Alla carriera d’artista Ochoa affianca quella del cardiologo; il suo lavoro riflette e distilla l’antitesi fra il desiderio medico del curare, quindi di ristabilire un ordine naturale, e quello artistico del destabilizzare attraverso il dubbio e l’incertezza.
PROJECT ROOM
L'acqua ed il suo riflesso ingannevole sono i protagonisti della project room, dove due installazioni invitano gli spettatori a ricercare il giusto punto di osservazione per riuscire a vedere qualcosa che esiste, anche quando non c'è.
Diegokoi racconta una dimensione privata, ritratti del suo nucleo familiare invadono le pareti della galleria, come frammenti in espansione del grande albero della vita, fulcro concettuale ed estetico della produzione per Illusioni ottiche.
Nell’installazione nera come la grafite, uno specchio circolare richiama la figura geometrica ricorrente nelle opere di Diegokoi, ed invita lo spettatore a riflettersi in esso, per affrontare la vertigine della propria intimità.
Juan Eugenio Ochoa ricerca nel ritratto un respiro universale. Le immagini non hanno nomi e contorni, ed è proprio l’assenza di dettagli a renderli appartenenti alla vita di ciascuno, come un gigantesco album di famiglia collettivo.
L’installazione richiama la paletta cromatica dei lavori ad olio, nel suo centro una foto di famiglia ignota trovata in un vecchio libro. Lo specchio riflette sia l’osservatore che l’immagine, unendoli inscindibilmente in un unico legame.