Jorit Agoch è il famoso street artist napoletano. Il volto umano al centro della sua intuizione creativa. Realismo da brividi, emozioni pure. Quando l’arte va dritta al cuore.

Jorit prova a farci entrare dentro di te, oltre la tua fama. Cosa significa il tuo nome d’arte e come mai scegli l’anonimato?

Nel mondo dei graffiti spesso il nome ha una grande importanza. Il mio, Jorit Agoch, è legato soprattutto al primo periodo di attività in questo mondo. È un riferimento alle due persone che mi hanno ispirato da ragazzino. Jorit è il nome d’arte di un graffitaro old school del quartiere Soccavo di Napoli e Agoch l’acronimo di codice che usavo insieme ad un altro graffitaro, anche lui ora non più in attività. L’anonimato? Seguo il mio istinto che mi dice di non cadere nella tentazione dell’apparire. Se qualcuno è interessato a ciò che faccio deve rimanere su quello, non sulla mia persona.

Sei napoletano di madre olandese. Quanto conta Napoli per te, per la tua formazione e per il tuo modo di fare arte? 

Per me Napoli rappresenta le persone grazie alle quali ho iniziato a realizzare graffiti, i ricordi ad esse legate e le piccole grandi avventure vissute. Da ragazzino, più che vedere Napoli, mi interessava scoprirne i graffiti.

Perché inizi a dipingere sui muri e come hai deciso di spostarti dalla “strada” alla formazione accademica? 

L’Accademia è stata una parentesi che doveva far parte della mia vita. Volevo capire se potesse aggiungere qualcosa alla mia formazione. Sicuramente mi ha lasciato la preparazione teorica, ma ritengo che l’arte vera è in strada.

I viaggi hanno impreziosito la tua arte, ma è stata l’Africa che ti ha cambiato per sempre, vero?

L’Africa mi ha segnato molto. Credo che debba trascorrervi del tempo chi pensa che il mondo non abbia bisogno di cambiamenti, chi è convinto che vada tutto bene.

I tuoi graffiti sono inconfondibili. L’attenzione è concentrata sul volto umano, su cui realizzi sempre due “strisce” rosse. Perché? Come hai perfezionato nel tempo la tua tecnica artistica?

Le “strisce” sono una citazione alla pratica africana della scarnificazione. Simboleggiano l’unità della tribù opposta alla singolarità. Sono la chiave di interpretazione di tutto ciò che faccio. I miei dipinti sono realistici perché, scavando nei dettagli, è possibile interpretare e osservare il mondo visibile. Intensamente e allo stesso tempo in maniera razionalmente distaccata. La pittura esiste per questo, è lo strumento con cui il pittore comprende la realtà. Io credo che i pittori, in particolare i pittori realisti, abbiano più di chiunque altro, un rapporto molto più forte con la realtà visiva.

Tra i tuoi ultimi lavori figurano Maradona, la Bambina di Ponticelli e San Gennaro. Perché hai scelto di rappresentare solo volti?

Diego è un dio umano per i napoletani e non solo. Il suo volto è molto espressivo, focalizza l’attenzione e mi permette di comunicare con molte persone. Anche Diego ha il simbolo della Tribù. I miei soggetti sono sempre e solo volti perché voglio far trapelare le emozioni che i volti trasmettono. Per me le opere sono semplicemente Diego, Gennaro e Ael.

The WalkMan ha come obiettivo quello di scovare e mettere in luce giovani talenti ed artisti che credono nelle proprie idee. Cosa consigli a chi, come te, ha deciso di investire la propria vita nella creatività?

Consiglio di schiarirsi le idee e focalizzarsi su ciò che  si vuole davvero ottenere. Credo che la creatività messa al servizio della banalità sia inutile.

FB: Jorit