Intervista al direttore editoriale della rivista radicale ed internazione.

Una grafica esplosiva, radicale , internazionale e indipendente, come poteva non catturare la mia attenzione? Ho deciso così di scrivere a Giovanni Tateo, direttore editoriale di Menelique Magazine per scoprire di più su di lui, la sua rivista e tutto il progetto editoriale.

Ciao Giovanni, vorremmo chiederti qualche parola per descrivere te ed il tuo percorso e Menelique, il magazine che hai fondato.

Ciao Carlo! Io sono un pugliese che non vede la Puglia da troppo tempo, perché mi sono laureato in filosofia a Torino e poi ho conseguito un MA in Publishing Media alla Oxford Brookes University. Sono passato dallo studio dell’ontologia sociale a quello dell’editoria perché negli ultimi 10 anni sono successe parecchie cose, soprattutto oltreoceano, che mi hanno fatto pensare di poter influire sul dibattito pubblico anche partendo da una realtà editoriale indipendente. Ne è un esempio il movimento globale #OccupyWallStreet, che è nato da una call to action del magazine indipendente Adbusters. In questo percorso mi è capitato di incontrare molte persone che condividono con me l’interesse per l’editoria politica. Assieme a loro ho deciso di fondare un “collettivo editoriale“. È una locuzione un po’ strana, ma significa semplicemente che non siamo un gruppo che, in seguito all’elaborazione di una linea politica, ha deciso di pubblicare una rivista per veicolare le proprie idee, ma nasciamo direttamente per pubblicare una rivista politica e culturale, cercando di dare spazio ad autrici e autori che parlano delle oppressioni vissute sulla propria pelle. La differenza non è sottile: nel nostro lavoro non dobbiamo “solo” chiederci come cambiare questa società, ma come farlo nell’ambito mediatico tramite l’uso di rappresentazioni. Io credo che questo specifico ruolo dell’editoria sia sottovalutato in Italia, e ho deciso di provare a intraprendere un percorso che ne stimoli il riconoscimento e che possa permettere di riscoprire la fecondità delle riviste indipendenti e la loro storica vicinanza ai movimenti sociali. La nostra rivista si chiama menelique, ed è un quadrimestrale cartaceo che si occupa di approfondire politica e cultura provando a svecchiare il canone a cui siamo stati abituati. 

Menelique si definisce un magazine Radicale e Internazionale. In un momento storico in cui crescono ovunque i sovranismi nazionalisti e la cultura dell’odio sembra prendere il sopravvento, quanto è importante portare avanti una battaglia ideologica e politica? In questo senso, quale vuole essere l’obiettivo di Menelique?

È essenziale. Noi non vogliamo insegnare qualcosa o dire a chi ci legge come la deve pensare, ma crediamo che molti e molte ne abbiano abbastanza di opinioni moderate. Viviamo in una società razzista e sessista, in cui la ricchezza non è redistribuita e in cui manca il riconoscimento del lavoro culturale, intellettuale, artistico e creativo. Bisogna dire le cose come stanno. Per la moderazione, ci sono i media mainstream, noi preferiamo andare alla radice dei problemi, il che significa letteralmente proporre prospettive e cambiamenti radicali. È vero, menelique è anche un magazine internazionale (e internazionalista), non solo perché ha un’intera sezione dedicata alla traduzione di articoli e racconti selezionati dall’editoria indipendente straniera, ma perché uno dei punti centrali della nostra linea editoriale riguarda la critica dei sovranismi e la pubblicazione di voci non occidentali. Non dobbiamo però dimenticare che è proprio dall’ascolto di queste voci che possiamo comprendere come i fattori identitari (così come l’odio) sono uno strumento molto potente, che può essere usato per veicolare razzismo e oppressione, come fa Salvini, ma anche per emanciparsene, come sta facendo il movimento Black Lives Matter.

Il primo numero si chiamava “I futuri del lavoro”: qual è il messaggio che ha voluto lanciare Menelique su questo tema? Cosa racconta ad un under 30 e cosa svela ad un “boomer”?

La parola “robot” deriva dal ceco “robota“, che significa “lavoro“. La tecnologia, gli automi e i robot nascono in letteratura come elementi che possono liberare l’umanità dalle fatiche del lavoro fisico. Ma in un futuro non così lontano gli algoritmi, l’intelligenza artificiale e i processi di automazione potrebbero liberarci anche dal lavoro “intellettuale“, vale a dire quello d’ufficio, così come quello creativo. In questo contesto è doveroso ripensare una società come la nostra, che è fondata sulla necessità e sulla centralità del lavoro, e magari iniziare a parlare di reddito di base incondizionato. Mi sembra evidente come la pandemia abbia reso ancora più attuale questo discorso. 

Personalmente, mi piacerebbe che a un boomer questo numero facesse riflettere sui limiti della diffidenza nei confronti della tecnologia, e che a una zoomer insinuasse il dubbio che la fede nella tecnologia e la critica alla società del lavoro nasconda degli elementi eurocentrici da cui è necessario liberarsi.

L’ultimo numero uscito  “La città muta” viene pubblicato in un contesto di fortissima sensibilizzazione nei confronti della riorganizzazione degli assetti metropolitani. È un caso o le misure di distanziamento sociale, legate alla pandemia, hanno influenzato questa decisione?

Abbiamo iniziato a lavorare a questo numero prima della pandemia. Pensavamo a un viaggio in diverse città del mondo attraverso uno sguardo critico sulle loro trasformazioni contemporanee. Ma eravamo inconsapevoli che di lì a poco sarebbe diventato il tema centrale di questi mesi: chiunque si è reso conto di quanto lo spazio urbano influisca sulla qualità della propria vita, chiunque ha capito che puntare tutto sulla fragile economia del turismo è un suicidio. Ovviamente abbiamo dovuto lavorare parecchio per aggiornare gli articoli alla situazione attuale, ma l’editoria periodica è così. Se fai approfondimento a partire dall’attualità, devi essere disposto a riconsiderare costantemente le tue scelte editoriali per proporre i temi giusti al momento giusto. Autori e autrici ci hanno aiutato facendo gli straordinari e dimostrando tanta professionalità.

Nell’era del click baiting cosa vuol dire fare informazione cercando di fornire approfondimenti e contenuti di spessore? 

Significa fare la cosa giusta. Non ci interessa avere tanti click. Per scelta non ospitiamo pubblicità sul sito, proprio perché questo ci spingerebbe a trasformare chi ci legge in prede da sedurre e attrarre sul nostro sito web. Non è una scelta mossa da un bisogno di “purezza”, né mi sento di criticare chi accoglie pubblicità. Ma oggi stiamo assistendo a un abbandono del rapporto economico diretto tra pubblico e case editrici, le quali preferiscono rivolgersi a chi, i soldi, li ha davvero: le aziende. Ma se dedichi il 100% del tuo modello economico alle inserzioni pubblicitarie, inevitabilmente perdi il tuo ruolo culturale e trasformi la tua redazione in un ufficio marketing che offre servizi in outsourcing alle imprese. L’editoria indipendente è un’altra cosa, c’è un rapporto umano con il pubblico, di stima e sostegno reciproco. L’obiettivo è quello di creare una comunità che riconosce il valore sociale della nostra linea editoriale, non un recinto di persone da vendere alle aziende. Vogliamo che la nicchia che ci segue abbia contenuti (e forme) di qualità

Per deformazione professionale l’identità visiva e la grafica di menelique mi hanno catturato da subito, qual è il messaggio che Menelique manda nei confronti delle professioni creative? Perché avete scelto questo linguaggio estetico? Quanto al giorno d’oggi è importante la scelta di un visual design, che sia concepito come parte integrante dei contenuti editoriali?

L’editoria politica ha sempre avuto un atteggiamento diffidente, se non ostile, nei confronti della cura grafica. Questa è una stronzata. Noi vogliamo offrire contenuti complessi in forme accessibili. Non forme “semplificate” o “divulgative”, ma “accessibili”. Il che significa provare a parlare sia a specialisti che a non-specialisti. Non potremmo farlo se non avessimo una dedizione completa alla cura grafica e progettuale di questa rivista. Non basta lavorare sul contenuto editoriale, evitare termini specialistici e toni pomposi, bisogna veicolare l’essenza del progetto in ogni aspetto. Siamo critici e radicali? Bene, allora la copertina deve avere una texture evidente, che dia una sensazione tattile forte: una ruvidità fisica che veicola quella simbolica degli articoli. Vogliamo pubblicare anche racconti oltre a saggi, pur mantenendo una netta distinzione tra i due? Allora la saggistica viene stampata su un tipo di carta, la narrativa su un’altra in pasta colorata. Vogliamo raggiungere anche chi non ha voluto o potuto articolare una coscienza politica? E allora chi illustra dovrà riuscire a mostrare, in un colpo d’occhio, ciò che l’articolo dice in 20.000 battute, e chi cura la direzione artistica e chi impagina dovrà favorire la leggibilità e l’armonia tra le varie sezioni della rivista. Questo evidentemente comporta dei costi di stampa che superano il doppio di quelli solitamente previsti per una pubblicazione e implica il coinvolgimento di professionalità con anni di esperienza. Siamo stati fortunati, perché la nostra squadra grafica ha aderito al progetto con entusiasmo, consapevole di avere lo stesso peso della redazione all’interno del collettivo.

Menelique si pone l’obbiettivo di raggiungere una sostenibilità economica grazie al contributo dei suoi lettori. Quanto è difficile oggi, per un magazine indipendente, affermarsi in uno scenario in forte crisi come quello dell’editoria? 

È importante riuscire a retribuire tutte le persone che lavorano al progetto non solo perché è giusto che ogni lavoro sia pagato (soprattutto se parliamo di lavoro creativo e intellettuale, che in Italia non viene riconosciuto), ma perché bisogna trovare un modello di sostenibilità economica che possa essere riprodotto da altre realtà editoriali indipendenti. Dobbiamo favorire lo sviluppo di un sistema editoriale sano, che permetta ad autori/autrici e creative/creativi di avere una sicurezza economica che garantisca libertà e indipendenza. Ne va della sopravvivenza del sistema culturale di questo Paese. L’entusiasmo e l’impegno militante non durano per sempre: se non si arriva a giuste retribuzioni economiche, ogni progetto editoriale è destinato a spegnersi. Per ora noi membri del collettivo lo facciamo gratuitamente, e con i proventi delle vendite del cartaceo riusciamo a retribuire €50 gli autori e €100 le illustratrici. Non è ancora un compenso adeguato e non siamo ancora in grado di retribuire chi scrive e illustra per l’online, ma vogliamo riuscire a farlo entro il terzo anno di vita di menelique. Hai detto bene, non è importante solo raggiungere la sostenibilità economica, ma è fondamentale farlo grazie al sostegno di chi ci legge, perché questo è l’unico modo di mantenere un ruolo culturale dell’editoria evitando di ridurre la produzione di contenuti a content marketing. È vero, l’editoria è in crisi da molto tempo, ma lo è per dei motivi specifici: il monopolio della distribuzione libraria, la progressiva disaffezione alla lettura e l’incapacità di organizzare realtà alternative all’attuale sistema editoriale. Bisogna unire le forze del mondo editoriale indipendente per uscire da questa situazione. Qualcosa si sta muovendo. Lo faremo, fidati di me.

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