Intervista a Diamond a cura di Sofia Fattori, inserita nella mostra Riscatti di Città presso Palazzo Merulana.

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Come definiresti la tua pratica artistica? Come dialoga con il territorio?    

La mia pratica artistica è facile da definire, è quella del disegno; una volta che un disegno viene colorato, spruzzato e collocato in luoghi e posizioni diverse rispetto al contesto tradizionale, come ad esempio su un muro, esso assume un altro significato e questo comporta una grande responsabilità in quanto cerco, tramite il mio lavoro di promuovere un messaggio e chiunque può usufruirne.
Il mio disegno può contribuire, in parte, a cambiare la percezione di chi vive in quel posto, rafforzando il senso di appartenenza che lega una persona al proprio quartiere.
La mia poetica è molto controversa, mi definirei eclettico, non mi concentro su un solo stile, anche se la mia fonte d’ispirazione è l’Art Nouveau, che rimane sempre moderna. Cerco di fonderla con il Simbolismo, traendo così l’aspetto l’introspettivo ed esplicato di quest’ultimo e lo stile elegante e accurato dell’Art Nouveau.
Mi ispiro ad artisti come Klimt, cerco di esprimere quello che ho in mente, provocando in me per primo e, credo, negli altri, un forte senso di immaginazione.

Che rapporto si crea tra l’arte urbana e la rigenerazione?  

Non sempre l’arte urbana corrisponde a rigenerazione. Rigenerare degli spazi dovrebbe partire prima dall’aspetto culturale e passare poi a quello urbano. A Roma ci sono stati esempi di rigenerazione che hanno coinvolto in modo attivo le persone. Penso al MAAM, ex fabbrica Fiorucci che è diventata una sorta di occupazione artistica.
In questo caso, attraverso l’arte si è contribuito a definire, dal punto di vista sociale e culturale, un luogo, che oggi rappresenta un riparo per molte persone,  ed è stata creata questa sorta di catena di Sant’Antonio, dove ogni artista ne portava una altro, assistendo così alla trasformazione di uno spazio privo di vita, che oggi come uno scrigno contiene cose preziose. Lasciamo che a Roma, si creino e si conservino queste realtà indipendenti specialmente in zone più periferiche.
Ad esempio, dopo l’intervento di molti street artist a Tor Marancia, si è creato un altro clima, i disegni hanno contribuito a cambiare la mentalità del quartiere, a creare un senso di appartenenza degli abitanti.
La rigenerazione deve essere prima di tutto  culturale, che possa cambiare la mentalità. I problemi della nostra Città non possono essere risolti da soli interventi di street art, ma se questo basta a sensibilizzare le coscienze, allora ben venga. 

Rispetto alla tua attività nel corso degli anni quali cambiamenti hai percepito a Roma da un punto di vista sociale e culturale? 

Di cambiamenti ne ho visti tanti, a partire dalle istituzioni. Adesso sono loro che ci chiamano e questo mi riempie di soddisfazione perchè vuol dire che il mio percorso ha avuto un senso sia per me stesso sia per la città.
Oggi, dal punto di vista sociale, le persone capiscono cosa facciamo e lo apprezzano.
Dal punto di vista urbano finalmente c’è qualcosa di più vivo, eccetto i problemi seri che rimangono,  ma attraverso la street art cerchiamo di sensibilizzare e magari in quel quartiere dove ci sono i bellissimi dipinti, le persone sono più invogliate a mantenere un decoro. La street art mette in moto un meccanismo che contribuisce a cambiare la percezione e la vivibilità degli spazi. 

Come si pone Roma nello scenario contemporaneo della street art?  

Penso sinceramente che Roma si difenda benissimo, ha un sacco di realtà attive in questo ambito, tanti artisti. Anzi forse c’è addirittura un sovraffollamento di realtà e input, che in alcuni casi disperde le energie positive. 

Che prospettive vedi per questo ambito? Come si evolverà la street art e la riqualificazione degli spazi?

Continuando così assisteremo a sempre più a cambiamenti, sia nell’ambito ufficiale delle istituzioni che in quello delle realtà indipendenti, augurandomi che si crei una sinergia tra questi due mondi.
Ormai la parte indipendente della street art sta svanendo, perciò confido in un intervento istituzionale ma lungimirante. Io spero che nel tempo a Roma si verificherà un fenomeno di gentrificazione che possa riabilitare le nostre periferie.
L’utopia sarebbe creare una nuova realtà dove nuovi artisti abbiamo il diritto di esprimersi e facciamo qualcosa per gli abitanti dei quartieri, che non va a cancellare il passato storico, ma anzi per sensibilizzare a riguardo. 
Ogni realtà di Roma in base alle proprie caratteristiche dovrebbe avere la propria identità.

In copertina: Fuoco Fatuo – Diamond + Solo – 2019 – Via del Commercio
Foto di Simone Galli

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