L’azienda Cusumano nasce 55 anni fa, ma è solamente nel ’95 che questa impresa si rivoluziona e determina un grande cambiamento per il vino siciliano nel mondo.

“Fino al 1995 la Sicilia era considerata il serbatoio del vino in Italia. La filosofia delle aziende siciliane era determinata dalla vendita per le altre regioni e dalla richiesta dell’alto grado e dei punti di colore del vino”. E’ così che Diego Cusumano esordisce durante la sua presentazione in occasione del pecorso degustativo tentosi lo scorso 21 febbraio al ristorante Dillà di Roma.

Anche l’azienda Cusumano era inizialmente orientata alla quantità e vendeva uva o vino in cisterna. La rivoluzione dell’azienda nasce dai due fratelli Cusumano: Alberto è il maggiore dei due fratelli ed ha studiato agraria ed enologia, Diego ha studiato economia e nel 1993 ha iniziato a viaggiare per comprendere la posizione della Sicilia nel mondo. La Sicilia non aveva una posizione internazionale, sebbene ci fosse una grande richiesta di vini dal sud d’Italia.

Nel 1995 Diego propose il suo progetto al padre, che da sempre ha avuto una  moderna e lontana dagli stereotipi siciliani. Il sogno dell’imprenditore era quello di produrre vini Cusumano con le uve siciliane, vini non realizzati per altri e in quantità, ma vini studiati e legati al territorio, vini di qualità.

Nonostante molte aziende avessero provato questa impresa fallirono, i Cusumano fecero il primo investimento a Ficuzza, dove con l’aiuto di un giovane enologo di grande cultura per la vigna, Mario Ronco, piantarono l’Insolia e lo Chardonnay.

La premessa di Diego al lavoro dell’azienda Cusumano riguarda la cultura enologica del territorio: “In Sicilia non c’è una scuola di formazione enologica, nonostante la grande presenza di vigne nella regione. Più aumenta la cultura del territorio e più aumenta la considerazione che si ha del vino”.

Ci vollero cinque anni di studio rivolto alla vigna, alla cantina e al mercato: il vino è come costruire un progetto. Nel 2001 Cusumano presenta il primo vino al Vinitaly. Un prodotto di grande forza, unito a un’ottima strategia di comunicazione, fresca, nuova, giovane, non legata ai pesanti stereotipi del vino, l’intuizione di una delle prime brochure tascabili. Dopo il Vinitaly del 2001 la storia dell’azienda Cusumano non ha conosciuto sosta, raggiungendo il successo e il consenso mondiale.

Diego ed alberto Cusumano
Diego ed alberto Cusumano
Altamora
Altamora
Cantina Cusumano a Partinico
Cantina Cusumano a Partinico
Ficuzza
Ficuzza
Feudo di Mezzo
Feudo di Mezzo

Come definirebbe Diego Cusumano il suo lavoro, la sua impresa?

Il mio lavoro è strettamente legato alla mia terra. Devo ringraziare di essere nato in Sicilia! Il talento di un produttore di vino è connesso al suo territorio: se si unisce questa base fondamentale con la passione, che è motore di ogni cosa, si riesce a creare un lavoro che piace e che da grandi soddisfazioni. Ecco come definirei la nostra impresa: terra e passione.

Durante la degustazione al ristorante Dillà, ha introdotto i suoi vini spiegando che il suo lavoro sarebbe stato vano senza uno studio. Nel vostro caso avete studiato per cinque anni prima di dar vita alla vostra realtà. Senza questa preparazione Cusumano non sarebbe quel che è oggi?

Assolutamente. Lo studio, la curiosità -che è l’elemento che deve muovere ogni cosa- e l’interesse a visitare il mondo sono state indispensabili. Questi sono aspetti fondamentali per migliorarsi e migliorare il proprio lavoro. Anche quando si fa una passeggiata in un’altra città si ricevono continuamente input, alcuni diretti, altri indiretti, che permettono di migliorarci e di migliorare il proprio lavoro. Viaggiare continuamente, non smettere mai di apprendere, di essere curiosi, di accogliere nuovi stimoli e di farli tuoi sono gli aspetti che fanno la differenza.
Noi oggi siamo qui, al Dillà di Roma, domani potremmo essere a Tokyo. E se ci si dovesse trovare a Tokyo si deve capire come suscitare interesse di un giapponesi nei confronti della tua terra e del tuo prodotto.

L’azienda Cusumano si è dovuta confrontare con realtà così lontane e diverse?

Più che confrontare direi conoscere, in maniera costruttiva.

E’ stato facile far conoscere la realtà Cusumano e importare il Made in Italy all’estero?

Ci sono delle regole fondamentali che seguo e ho seguito per rendere l’azienda come la si vede, regole molto semplici. La prima regola è l’educazione: la voglia di conoscere e comprendere. La seconda regola è l’ottimismo: perché noi, nonostante ci trovassimo in Sicilia, una terra favorevole per il nostro vino, abbiamo su questa stessa terra una serie innumerevole di altri problemi. L’ottimismo ti fa cogliere l’opportunità in un contesto difficile. La terza regola  è essere coerenti. Ci vuole coerenza nella vita e a livello aziendale.

Vi definite una azienda coerente?

Molto coerente! La coerenza è fondamentale perché significa che tutti all’interno dell’azienda, non solo gli imprenditori, hanno chiaro un obiettivo, la missione aziendale. Se la coerenza è presente alla base di tutto, a partire dall’interno della stessa azienda, allora il tuo lavoro è chiaro sul mercato. Perché, sapete qual è la cosa più difficile? Fare in modo che i valori che una azienda ha siano percepiti anche fuori dall’azienda. Non è solo la qualità, la qualità è uno dei valori. Ci si deve chiedere: quali sono, alla fine, i valori che una azienda porta con sé? I rapporti, le relazioni con i collaboratori, il modo in cui si affrontano i problemi. Quando questi valori sono chiari al pubblico, allora l’azienda ha successo.

Cosa consiglierebbe ai giovani che sognano di intraprendere un giorno la sua carriera?

Per prima cosa aver chiaro che il vino per l’80% è legato alla cultura del proprio territorio. Quindi trovare, scovare, comprendere, indagare continuamente lo scambio tra territorio e vigneto, immergersi in questo concetto e conoscere la propria terra, le sue caratteristiche.
Il secondo aspetto riguarda il 20 %  di un buon lavoro: girare il mondo e comunicare i valori della propria azienda. Noi italiani, e spesso noi del sud, siamo molti bravi a produrre ma poco bravi a comunicare. Comunicare non è vendere, vendere è l’aspetto finale: comunicare ciò che hai è diverso. Quante volte si trova un bravissimo artigiano, capace di fare la pasta, o di confezionare un abito, ma solamente lui stesso sa di essere bravo? Non lo ha mai comunicato a nessuno, non ha mai trovato il modo per farlo. Questo è il nostro limite, non saper comunicare.
Se unissimo alla nostra innata cultura italiana, alla nostra bravura, il valore della comunicazione, allora avremmo un’azienda, un’impresa di successo. Altrimenti si è bravi per noi stessi o per una  comunità molto piccola e quindi non si ha la vera possibilità di emergere.