Collaborare, anzi: imparare a farlo. Perché fino ad ora, citando il film di Bertolucci, nella mia vita ho sempre ballato da sola. L’ho sempre trovato più comodo e veloce. Più libero. Ma mi sbagliavo. Avere un complice può far scoprire  molte più cose, anche di sé. Quale momento migliore per sperimentare, se non questo?

Cosa vuol dire collaborare ai tempi del Corona virus? Lo sto scoprendo solo ora, piano piano, con grande sorpresa ed entusiamo. Ma cominciamo dall’inizio.

Sono a casa dal lavoro, per l’emergenza sanitaria italiana, dal 23 febbraio. Una eternità, a pensarci bene. La prima emozione provata, comunicato lo stop lavorativo, è stata quella del sollievo. Potevo finalmente stare al sicuro. Potevo non collaborare con nessuno.

Potevo avere cura di me e, nel frattempo, sentirmi un po’ in vacanza, farmi coccolare dai miei famigliari che non vedo mai, giocare con mia nipote, vedere i miei amici (finalmente), passeggiare in campagna e raccogliere i fiori di campo.

Non conducendo una vita tutta feste e pazzie, mi sono detta: “Non cambia nulla, in fondo. Ti rilassi”. Così ti fidi e vai avanti, giorno dopo giorno. Dormi, mangi, lavoricchi da casa, pulisci gli armadi e poi la cantina e poi il garage e poi la macchina. Fino a che non hai più nulla da pulire e ti dicono che devi stare in casa per forza.

Panico. Perché c’è una bella differenza tra lo scegliere di stare in casa e il dovere stare in casa.

Che fare allora? Uscire pazzi? Farsi prendere dall’ansia? No.

Si raccolgono le forze e si liberano i pensieri. Insomma: si rispolvera il termine “Collaborare” grazie al Coronavirus. Si capisce di essere fallibili e che, quindi, c’è bisogno di tutto l’aiuto possibile. Dove non arrivo io, arriva un altro. Si getta il seme della costruzione del nuovo. Ci si da  una mano, virtualmente parlando. Si diventa più indulgenti, soprattutto verso noi stessi. Si ritorna ad essere umani.

Collaborare. Cioè?

Collaborare, tecnicamente, significa “Dare il proprio contributo a un’impresa, un’attività o un progetto; partecipare; cooperare con qualcuno per la realizzazione di qualcosa, lavorare insieme”. La mia interpretazione del termine è stata “tirare fuori dal cassetto i sogni riposti tanto tempo fa e provare a realizzarli”. Con mille difficoltà, tanta ingenuità, ma con una spalla eccezionale: la mamma. Eh si, perché quando ci sono situazioni di emergenza, la mamma corre sempre in aiuto.

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Collaborare. Quando la famiglia si allarga …

Tempo fa mia mamma e mia nipote hanno scritto un libretto di storie, fiabe e favole per piccini distribuito sotto forma di regalo a pochi conoscenti. Rilegato alla bell’e meglio, ci siamo ripromesse, al momento del suo completamento, di editarlo, impaginarlo e stamparlo come si deve. A quello step non siamo ancora arrivate, ma abbiamo fatto di meglio: abbiamo fatto un video. Avete presente gli audio libri? Ecco, una cosa del genere. Pubblicato sui social, ha riscosso successo soprattutto tra i genitori, ma ha anche avviato nuove collaborazioni e richieste. Insomma, ci hanno chiesto il seguito. Magari questa volta faremo il video con le illustrazioni di Giuseppe Pisciotta, che ha curato i disegni da colorare per la prima bozza del libro e che, per ora, non hanno ricevuto il giusto riconoscimento.

Si, perché la collaborazione è come una catena, un incastro di maglie. Una tira l’altra: da un dialogo interiore è scaturito un dialogo generazionale; poi sono arrivati un occhio esterno per le revisioni, uno esperto per i disegni e una classe severa di treenni per il test. Tutti i soggetti coinvolti in questo intricato viaggio hanno imparato qualcosa, è inevitabile. Io ho capito, guardando da lontano lo strampalato processo creativo di mia madre, che una possibilità la si può e la si deve dare a tutti.

Mal che vada ci si rende conto che la strada intrapresa non era giusta, ma questo non sta a me stabilirlo a priori

Collaborare con le armi giuste: i pennarelli

Non ci si può toccare, non ci si può abbracciare, non ci si può baciare, ma si può colorare. Il momento è perfetto per dare spazio a ogni sorta di creatività. Non so voi, ma io sento l’esigenza ogni tanto di staccare gli occhi dagli schermi del pc o del telefono e di concentrarmi su altro. Cambiare non solo prospettiva, ma mettere anche in stand by il pensiero costantemente stimolato. I Colouring Book sono un validissimo aiuto: per grandi, piccoli, fatti da artisti; ce n’è per tutti i gusti, anche in tema con questo scritto, come il Colouring Book di Milano Art Guide che, ad oggi, ha coinvolto più di 120 artisti nella creazione di disegni d’artista da completare con il nostro estro.

Ma un pennarello può anche essere condiviso. Ho collaborato con i miei piccoli di casa nella realizzazione del cartellone da appendere alle finestre con la frase simbolo del periodo “andrà tutto bene”. Mi sono accorta che fare un passo indietro e ascoltare i bambini è molto più performante che decidere e far eseguire.  Ho cercato di mettermi a loro completa disposizione, di essere uno strumento nelle loro mani, di farli sentire importanti e aiutarli a realizzare la loro idea. Non mi sono mai divertita tanto. E non sono mai stata più felice.

E poi, quanto è bello trovarsi le mani tutte sporche di pennarello?

Collaborare e tornare indietro nel tempo

Un pomeriggio ho visto una storia su Instagram di una mia amica che non sapeva più come intrattenere le sue due bimbe. Nel mentre, io stavo postando una specie di video dove mi mostravo impegnata a fare i miei soliti esercizi di stretching. È stato spontaneo aiutarsi a vicenda: lei mi ha scritto chiedendomi se potevo fare lezione alle sue piccole via Skype. Così io ho preparato un tutorial semplice e divertente; l’idea mi è piaciuta così tanto che ogni mattina faccio sport in video chiamata con mia nipote e ho in canna altri due video danzerecci per bambini e non.

Mi sono trovata improvvisamente catapultata indietro nel tempo, quando andavo nella palestra sotto casa a studiare danza.

È stata la mia vita per vent’anni e, proprio ora, che la vita ti costringe ad uno stop, le cose che hai davvero imparato e amato ti tornano utili. Anzi, no, sono le prime che emergono dal terreno ancora più forti. Insomma, mi è venuto spontaneo tornare a danzare, anche se sono ferma da tanto, se sono invecchiata e le mie gambe non sono più come quelle di una volta. Ma poco importa. Questo è probabilmente ciò che so fare meglio nella vita e non ho esitato un attimo a mettere a disposizione la mia consapevolezza del corpo (senza nessuna pretesa, eh) per aiutare gli altri. Ho imparato a liberarmi dai fantasmi del tempo.

A proposito: voi sapete ballare la Hula?