Prima assoluta per il Satyricon riscritto da Francesco Piccolo e diretto da Andrea De Rosa al Teatro Grande degli Scavi di Pompei

Ispirandosi al Satyricon di Petronio inscenando, infatti, la Cena Trimalchionis con tanto di “water-trono” dorato in scena e un esilarante Antonino Iuorio nei panni di, appunto, Trimalcione, la rivisitazione di Piccolo è stata avvincente, ironica, ritmata e divertente, lasciando spazio anche a momenti di riflessione, velatamente malinconici sulla realtà che circonda il mondo dell’arte ma che, in fin dei conti, circonda un po’ tutti.

“Abbiamo la sensazione di stare vivendo un periodo di impasse, di decandenza e di transizione verso qualcosa di sconosciuto. Da quando sono crollate le ideologie e le utopie che hanno segnato e insanguinato il Novecento sembra essere venuta meno la direzione storica da seguire e , non essendo chiara la meta, sembra non ci sia altra strada che girare a vuoto. Per questo ho chiesto a Francesco Piccolo di scrivere un testo che tentasse di raccontare la nostra decandenza cercando di coglierne la peculiarità” dice Andrea De Rosa.

Ho avuto il grande piacere di parlare di Satyricon con Anna Redi, coreografa dello spettacolo ed anche attrice nei panni dell’ attrice impegnata.

D: Qual è stato l’approccio della compagnia a interpretare una pietra miliare letta in chiave moderna?

R: Siamo partiti con grande entusiasmo sia per la compagnia, per Andrea De Rosa che è sicuramente uno tra i registi più interessanti di questo momento, sia proprio per il tema e la riscrittura dell’opera. C’è stata una fase iniziale di fervore, dopo di che siamo subito entrati nel vivo del lavoro cercando di fare un training che creasse gruppo, che creasse le attitudini di ogni personaggio. Come hai visto, lo spettacolo ha un ritmo molto serrato sia di battute sia di movimenti dunque dovevamo creare un gruppo che si basasse molto sulla fiducia, sull’ascolto l’uno dell’altro..su un’orchestrazione comune.

“Qualcosa muore, qualcosa va dritto verso la decadenza…verso la fine.”

Anna Redi, l’attrice impegnata

D: Quali sono i tratti che più ci distinguono dai personaggi del Satyricon e quali quelli che ci accomunano nonostante i repentini cambiamenti della società (ammesso che in fondo ce ne siano)?

R: Sicuramente alcuni personaggi sono abbastanza aderenti al Satyricon di Petronio, altri sono d’invenzione come il mio, ad esempio: l’attrice impegnata. La situazione base a mio avviso è molto simile nonostante i circa 2000 anni passati perché nel momento in cui c’è questo divinizzare il denaro ed il potere si vive un momento di decadenza e di pigrizia assoluta, di accidia, di abbandono al lusso, allo sperpero, al comfort. Qualcosa muore, qualcosa va dritto verso la decadenza…verso la fine.

D: Come hai accolto l’idea di Francesco Piccolo?

R: Ho trovato veramente geniale la riscrittura e questa enfasi sul linguaggio. Per quanto riguarda il personaggio dell’attrice dell impegnata, ho rivisto molto il linguaggio dei teatranti sui social e in qualche modo l’attitudine del personaggio nella Grande bellezza della radical chic: un’attitudine di superiorità ridicola verso il mondo e verso gli altri, una forma di moralismo rigido.

È una danza che si basa sulle macerie, è la maschera di festaioli sorridenti, ma è soltanto una maschera.

Alessandra Borgia, la signora disperata

D: Così come gli attori in scena sono travolti incessantemente dallo stesso ritmo, anche nella realtà: ci siamo tutti dentro e in modo quasi frenetico danziamo in questa “mondanità”. Quali credi siano le misure precauzionali per non esser risucchiati?

R: C’è la frase che ripete spesso Trimalcione “Spignemo, spignemo finché potemo e questo ci incita a continuare la danza fino allo stremo delle forze. È una danza che si basa sulle macerie, è la maschera di festaioli sorridenti, ma è soltanto una maschera. Credo che non ci sono ricette per uscire da questo automatismo. C’è piuttosto una richiesta in questo momento storico di stare svegli.

Satyricon 2019 regia Andrea De Rosa produzione Teatro Stabile di Napoli

D:Francesco Piccolo parla di “quelle serate che ci accomunano per l’intera vita, alle quali ci rechiamo euforici e scontenti, che ci fanno tornare a casa con un senso di malinconia”. Quando credi che l’ostinazione di sentirsi mondani, seppur controvoglia, abbia preso il posto di tutte le attività che ci rendono felici e appassionati a qualcosa? Credi che questo riguardi solo “l’importanza è esserci”? Qual è il prezzo da pagare per “non restare fuori?”

Con una felicissima intuizione Francesco Piccolo ha individuato nell’impoverimento linguistico il tratto che sta segnando la nostra epoca e lo ha fatto diventare materiale drammaturgico. – Andrea De Rosa

R: Questa domanda forse la dovresti fare a Francesco Piccolo! Io non faccio molta vita mondana, la interpreto nello spettacolo ma non è il mio stile di vita. Mi fa ridere mentre lo dico: c’è proprio la battuta dell’attore nella parte dell’intellettuale, che dice“…io non vengo mai, io non vengo mai! Ditelo che non mi vedete mai..!”. Personalmente non mi sento di appartenere a chi va alle feste mondane e magari in base a quello crea legami, ad esempio, per il lavoro: è un’interpretazione quella che faccio dell’attrice impegnata.

Al contempo, è vero che siamo in una società dove è solo l’immagine, il social o l’apparire che importa; è il solo esser presenti, il mero presenziare feste, eventi, salotti importanti l’essenziale… cosa che appunto io non faccio.
Il consiglio che mi sentirei di dare i giovani artisti è fate in modo che il vostro lavoro si affini e che la qualità cresca sempre di più, che sia il lavoro a portarvi altro lavoro e non le amicizie alle feste inn.

C’è una frase di Carmelo Bene che mi è rimasta sempre in testa. Diceva “Il teatro vi è necessario, ma chiedetevi: voi siete necessari al teatro?” No..no che non lo siamo! Siamo tutti sostituibili.

D: La frase cardine dello spettacolo è stata “Necessario e urgente”. Quale credi debba essere il messaggio dell’arte in un periodo di appunto decadenza, una fase del mondo dell’arte dove pare sia data rilevanza solo alla forma delle cose e poco ai contenuti e al loro significato? Credi che uno dei motivi possa essere la mistificazione del linguaggio?

R: Si, dici bene. La mistificazione del linguaggio perché anche dire a parole “Voglio lavorare in uno spettacolo necessario e urgente” non è salvifico, non è quello che poi nella realtà ti fa essere necessario e urgente all’arte.
C’è una frase di Carmelo Bene che mi è rimasta sempre in testa. Diceva “Il teatro vi è necessario, ma chiedetevi: voi siete necessari al teatro?” No..no che non lo siamo! Siamo tutti sostituibili. Che cosa vuol dire adesso veramente necessario e urgente? È qualcosa di quasi segreto, quasi una domanda troppo intima, indicibile.

Nel momento in cui ciò viene molto espresso, molto detto, molto manifestato , quasi non ci credo più… quasi mi fa ridere.
Penso che l’ironia del mio personaggio si sia vista con l’accanimento a mostrare libri letti, a mostrare la propria cultura, a fasi scudo come se la conoscenza e l’identificazione con un accumulo di nozioni e di conoscenza ti faccia essere legittimo.
A tal proposito, credo sia molto interessante il testo di Fofi in cui scrive che la cultura è l’oppio dei popoli. Davvero ci vuole qualcosa in questo momento che sia più sottile, più sveglio, più fine, più attento e che faccia quasi un passo indietro su tutto ciò che sta succedendo senza identificarsi ma cercando di avere un punto di vista che sia più oggettivo possibile e più autentico.