Angelica Consoli è una giovane artista affascinata dalla paraffina. In questa intervista racconta, in modo sincero e attento, il suo lavoro, pesando con cura ogni parola, proprio come se fosse una sua scultura.

Estate 2019, Palazzo Te, Mantova: Angelica Consoli si presenta al gruppo timidamente, arrossendo. Angelica, appunto. Capimmo tutti dopo, quando ci presentò il suo lavoro, il mondo che si nascondeva dietro quelle gote ciliegia: un mondo fatto di grande rispetto per la materia – la paraffina, così particolare e affascinante allo stesso tempo; un mondo fatto di gesti, quasi rituali, essenziali per la trasformazione delle sue opere; capimmo la passione per la sua terra e le sue radici, da proteggere con amore e custodire con cura.

Sul tuo sito la parte dedicata alla descrizione della tua pratica sembra quasi una poesia. Si percepisce una sorta di devozione e di rispetto verso la materia che tratti: la paraffina. Perché l’hai scelta? O è lei che ha scelto te?

Non avrei mai immaginato di utilizzare la paraffina come medium; tutto è nato per caso, durante una lezione di pittura in accademia tenuta da Albano Morandi (al quale sarò sempre grata per i suoi insegnamenti), il quale aveva portato un bel pentolino pieno di cera da utilizzare durante il laboratorio di pittura. In quel periodo la mia attenzione era rivolta alla realizzazione di una serie di installazioni composte da riviste di moda, le cui pagine venivano rielaborate cancellando l’effimera bellezza di queste modelle che apparivano così belle, perfette, eterne…

Dentro di me sentivo l’esigenza di non fermare la mia pittura solo su una tela, ma di rendere più concreto il mio lavoro; così ho iniziato a sperimentare e conoscere la cera, attraverso la quale potevo donare uno spessore sempre maggiore ai miei lavori che, piano piano, divenivano sempre di più oggetti, quelli che oggi chiamiamo “paraffine”.

La paraffina va a bloccare una memoria, una storia, ma accoglie anche le impronte di chi la tocca. Come interpreti e assecondi, se lo fai, queste sovrapposizioni nei tuoi lavori?

Nelle mie installazioni utilizzo e inserisco oggetti vecchi e con una loro storia. Mi piace immaginarmi le vite di chi li ha toccati e amo l’idea che i miei lavori possano interagire con le persone, portando con sé un vissuto tutto loro, come se avessero a loro volta una memoria da custodire e tramandare. La bellezza della paraffina, inoltre, sta nella sua semi trasparenza. Il materiale si fa contenitore, come uno schermo attraverso il quale l’osservatore vede, spesso solo parzialmente, l’oggetto paraffinato. Il tocco delle persone diviene parte fondamentale dell’opera, che si muta in un progetto in divenire, capace di raccogliere le scansioni del tempo.

Le tue sculture sono quasi sempre mostrate ed esposte in luoghi suggestivi che sembrano andare a completare il racconto incapsulato nelle tue paraffine. Quanto è importante per te creare la giusta atmosfera? Quanto sono importanti gli odori, la polvere, le luci?

In una società come la nostra, dove è attiva una costante ricerca di perfezione e di novità, dimenticando tutto ciò che è passato ed eliminando ogni sorta di difetto, per me è importante lavorare studiando le imperfezioni e inseguendo tutto ciò che è “memoria”, fa parte della mia ricerca. Il mio primo studio era in una vecchia cantina, piena di polvere, con le pareti piene di segni e, nonostante avessi la possibilità di lavorare in uno spazio ristrutturato, dalle pareti con l’intonaco perfetto, ho sentito che quello era il mio spazio, l’ambiente giusto dove far nascere le mie installazioni.

Un profumo, un colore, un oggetto, un’ombra, una luce possono essere visti come degli elementi apparentemente poco significativi ma, spesso, sono proprio questi piccoli dettagli che ci riportano ad una nostra intima e particolare memoria.

Molti tuoi soggetti sono ex voto, rimandi apparenti alla spiritualità. Come reagisce il pubblico alle tue opere: si sente attratto, confortato o, come nella maggior parte dei casi quando si parla di arte contemporanea, si mostra diffidente?

Il rapporto tra opere e spettatore sta alla base del mio studio. Quando espongo mi piace avvicinarmi alle persone senza dire che sono l’artista, ascoltare le loro emozioni, osservare il rapporto sinergico tra opera e pubblico, e devo dire che trovo una certa attenzione nei confronti delle mie opere: l’osservatore si incuriosisce, si sofferma di fronte al lavoro, non lo guarda in modo frettoloso, non trova diffidenza ma, al contrario, curiosità e riflessione…

Un fatto che mi ha molto colpita, e credo debba essere motivo di riflessione e approfondimento, è avvenuto di recente: in occasione di m@d_Monza Arte Diffusa, evento curato dalla Galleria LEOGALLERIES, ho realizzato un’installazione presso il Santuario di Santa Maria delle Grazie di Monza. Nel giro di poco tempo le persone, nonostante fossero consapevoli che quello che avevano di fronte era un’opera d’arte (volutamente laica), hanno appeso rosari, immagini, fotografie, quasi come se il mio lavoro fosse una sorta di parete sulla quale appendere una preghiera, una supplica, un ex-voto… questa cosa, che non è stata cercata, mi ha stupita e commossa molto. Soprattutto in un contesto artistico come quello che stiamo vivendo ora dove, spesso e per molti, l’arte contemporanea diventa quasi sinonimo di incomprensione, qui troviamo un esempio in cui tutto ciò non accade.

Il pubblico si è avvicinato e, cosa non scontata, si è affidato con amore, fiducia e Credo all’Arte.

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Parliamo di libri, ora. Anche la parola ha qualcosa di sacro per te? Perché fermarla? La paraffina accarezza le pagine o incorpora tutto il libro, impedendone totalmente la lettura?

La serie incomprehensibilis nasce dal voler obbligare in qualche modo l’osservatore a soffermarsi per un tempo maggiore di fronte all’opera. La paraffina rende le pagine più fragili e trasforma le parole in puri segni in contrasto con la trasparenza della carta bagnata dal medium. Anche per questa serie, fondamentale è il rapporto diretto con lo spettatore, il quale può toccare e sfogliare i miei libri. I primi lavori realizzati con questi oggetti, a differenza di questa ultima serie, dove ogni singola pagina è stata bagnata dalla paraffina, venivano immersi completamente nel materiale per poi essere scolpiti. In questo caso volevo impedire la lettura del libro, perché diveniva un blocco, un oggetto concreto il cui contenuto veniva svelato solo in parte dal titolo in copertina.

Dove scovi gli oggetti che lavori? E ancora: quanto il luogo in cui vivi (perché io so che tu vivi in un luogo meraviglioso dal punto di vista paesaggistico) influenza il tuo fare, il tuo ritmo riflessivo e compositivo, il tuo sguardo?    

Il luogo in cui vivo ha influenzato molto la mia ricerca, non solo perché vivo in un luogo tutto sommato tranquillo e ancora lontano dai ritmi frenetici della città, ma perché è il mio borgo natio. Qui è dove sono cresciuta; vivo nella casa dei miei bisnonni e anche lei ha una sua storia. La mia famiglia mi ha trasmesso un legame molto forte con il passato, credo sia anche per questo motivo che temi come quello della ricerca delle nostre radici siano una parte sulla quale verte il mio lavoro.

Sono cresciuta con i miei nonni che mi raccontavano della guerra, della loro vita in orfanotrofio, delle incertezze della vita, colmate solo dalla certezza dei loro legami e dei loro ricordi. Nel cassetto del comodino della camera da letto di mia nonna, rigorosamente chiusa a chiave, si trovavano le sue memorie.

Ero un po’ birichina da piccola e mi piaceva molto entrare di nascosto in questa stanza e vedere le sue fotografie, il portafoglio di suo padre, le ultime immagini, dei bigliettini con scritte per me apparentemente insensate, e ora che non c’è più custodisco i suoi ricordi e inserisco anche i miei per lasciarli a chi verrà dopo di me.

In una società come la nostra, dove si dà precedenza all’apparire, piuttosto che all’essere, dove si dà più spazio all’ego e alla superficialità, credo sia fondamentale mantenere un certo legame con il passato, con la nostra storia, con i nostri legami.

Soprattutto dopo questo ultimo periodo, credo sia fondamentale contrastare tutta questa individualità, con una ricerca di comunità, per far sì che i principi e i sentimenti tornino a renderci persone altruiste. Il mio lavoro vorrebbe portare il pubblico ad osservare, riflettere e fermarsi per un attimo ad ascoltarsi, lontano dalla smania della quotidianità.